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Ordine Militare e Religioso dei Cavalieri di Cristo

Gran Priorato d'Italia

 

Concilio Vaticano II°

 

PAOLO VESCOVO
SERVO DEI SERVI DI DIO
UNITAMENTE AI PADRI DEL SACRO CONCILIO
A PERPETUA MEMORIA

COSTITUZIONE PASTORALE
SULLA CHIESA NEL MONDO CONTEMPORANEO (1)
GAUDIUM ET SPES

 

PROEMIO

1. Intima unione della Chiesa con l'intera famiglia umana.

Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.

La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti.

Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia.

2. A chi si rivolge il Concilio.

Per questo il Concilio Vaticano II, avendo penetrato più a fondo il mistero della Chiesa, non esita ora a rivolgere la sua parola non più ai soli figli della Chiesa e a tutti coloro che invocano il nome di Cristo, ma a tutti gli uomini. A tutti vuol esporre come esso intende la presenza e l'azione della Chiesa nel mondo contemporaneo. Il mondo che esso ha presente è perciò quello degli uomini, ossia l'intera famiglia umana nel contesto di tutte quelle realtà entro le quali essa vive; il mondo che è teatro della storia del genere umano, e reca i segni degli sforzi dell'uomo, delle sue sconfitte e delle sue vittorie; il mondo che i cristiani credono creato e conservato in esistenza dall'amore del Creatore: esso è caduto, certo, sotto la schiavitù del peccato, ma il Cristo, con la croce e la risurrezione ha spezzato il potere del Maligno e l'ha liberato e destinato, secondo il proposito divino, a trasformarsi e a giungere al suo compimento.

3. A servizio dell'uomo.

Ai nostri giorni l'umanità, presa d'ammirazione per le proprie scoperte e la propria potenza, agita però spesso ansiose questioni sull'attuale evoluzione del mondo, sul posto e sul compito dell'uomo nell'universo, sul senso dei propri sforzi individuali e collettivi, e infine sul destino ultimo delle cose e degli uomini. Per questo il Concilio, testimoniando e proponendo la fede di tutto intero il popolo di Dio riunito dal Cristo, non potrebbe dare una dimostrazione più eloquente di solidarietà, di rispetto e d'amore verso l'intera famiglia umana, dentro la quale è inserito, che instaurando con questa un dialogo sui vari problemi sopra accennati, arrecando la luce che viene dal Vangelo, e mettendo a disposizione degli uomini le energie di salvezza che la Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo, riceve dal suo Fondatore. Si tratta di salvare l'uomo, si tratta di edificare l'umana società.

È l'uomo dunque, l'uomo considerato nella sua unità e nella sua totalità, corpo e anima, l'uomo cuore e coscienza, pensiero e volontà, che sarà il cardine di tutta la nostra esposizione.

Pertanto il santo Concilio, proclamando la grandezza somma della vocazione dell'uomo e la presenza in lui di un germe divino, offre all'umanità la cooperazione sincera della Chiesa, al fine d'instaurare quella fraternità universale che corrisponda a tale vocazione.

Nessuna ambizione terrena spinge la Chiesa; essa mira a questo solo: continuare, sotto la guida dello Spirito consolatore, l'opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità (2), a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito (3) .

LA CONDIZIONE DELL'UOMO NEL MONDO CONTEMPORANEO

4. Speranze e angosce.

Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico. Ecco come si possono delineare le caratteristiche più rilevanti del mondo contemporaneo. L'umanità vive oggi un periodo nuovo della sua storia, caratterizzato da profondi e rapidi mutamenti che progressivamente si estendono all'insieme del globo. Provocati dall'intelligenza e dall'attività creativa dell'uomo, si ripercuotono sull'uomo stesso, sui suoi giudizi e sui desideri individuali e collettivi, sul suo modo di pensare e d'agire, sia nei confronti delle cose che degli uomini. Possiamo così parlare di una vera trasformazione sociale e culturale, i cui riflessi si ripercuotono anche sulla vita religiosa.

Come accade in ogni crisi di crescenza, questa trasformazione reca con sé non lievi difficoltà.

Così, mentre l'uomo tanto largamente estende la sua potenza, non sempre riesce però a porla a suo servizio. Si sforza di penetrare nel più intimo del suo essere, ma spesso appare più incerto di se stesso. Scopre man mano più chiaramente le leggi della vita sociale, ma resta poi esitante sulla direzione da imprimervi. Mai il genere umano ebbe a disposizione tante ricchezze, possibilità e potenza economica; e tuttavia una grande parte degli abitanti del globo è ancora tormentata dalla fame e dalla miseria, e intere moltitudini non sanno né leggere né scrivere.

Mai come oggi gli uomini hanno avuto un senso così acuto della libertà, e intanto sorgono nuove forme di schiavitù sociale e psichica.

E mentre il mondo avverte così lucidamente la sua unità e la mutua interdipendenza dei singoli in una necessaria solidarietà, violentemente viene spinto in direzioni opposte da forze che si combattono; infatti, permangono ancora gravi contrasti politici, sociali, economici, razziali e ideologici, né è venuto meno il pericolo di una guerra capace di annientare ogni cosa.

Aumenta lo scambio delle idee; ma le stesse parole con cui si esprimono i più importanti concetti, assumono nelle differenti ideologie significati assai diversi.

Infine, con ogni sforzo si vuol costruire un'organizzazione temporale più perfetta, senza che cammini di pari passo il progresso spirituale.

Immersi in così contrastanti condizioni, moltissimi nostri contemporanei non sono in grado di identificare realmente i valori perenni e di armonizzarli dovutamente con le scoperte recenti.

Per questo sentono il peso della inquietudine, tormentati tra la speranza e l'angoscia, mentre si interrogano sull'attuale andamento del mondo.

Questo sfida l'uomo, anzi lo costringe a darsi una risposta.

5. Profonde mutazioni.

Il presente turbamento degli spiriti e la trasformazione delle condizioni di vita si collegano con un più radicale modificazione, che tende al predominio, nella formazione dello spirito, delle scienze matematiche, naturali e umane, mentre sul piano dell'azione Si affida alla tecnica, originata da quelle scienze. Questa mentalità scientifica modella in modo diverso da prima la cultura e il modo di pensare. La tecnica poi è tanto progredita, da trasformare la faccia della terra e da perseguire ormai la conquista dello spazio ultraterrestre. Anche sul tempo l'intelligenza umana accresce in certo senso il suo dominio: sul passato mediante l'indagine storica, sul futuro con la prospettiva e la pianificazione. Non solo il progresso delle scienze biologiche, psicologiche e sociali dà all'uomo la possibilità di una migliore conoscenza di sé, ma lo mette anche in condizioni di influire direttamente sulla vita delle società, mediante l'uso di tecniche appropriate.

Parimenti l'umanità sempre più si preoccupa di prevedere e controllare il proprio incremento demografico. Il movimento stesso della storia diventa così rapido, da poter difficilmente esser seguito dai singoli uomini. Unico diventa il destino della umana società o senza diversificarsi più in tante storie separate. Così il genere umano passa da una concezione piuttosto statica dell'ordine delle cose, a una concezione più dinamica ed evolutiva. Ciò favorisce il sorgere di un formidabile complesso di nuovi problemi, che stimola ad analisi e a sintesi nuove.

6. Mutamenti nell'ordine sociale.

In seguito a tutto questo, mutamenti sempre più profondi si verificano nelle comunità locali tradizionali famiglie patriarcali, clan, tribù, villaggi, nei differenti gruppi e nei rapporti della vita sociale. Si diffonde gradatamente il tipo di società industriale, che favorisce in alcune nazioni una economia dell'opulenza, e trasforma radicalmente concezioni e condizioni secolari di vita sociale. Parimenti la civilizzazione urbana e l'attrazione che essa provoca s'intensificano, sia per il moltiplicarsi delle città e dei loro abitanti, sia per la diffusione tra i rurali dei modelli di vita cittadina. Nuovi e migliori mezzi di comunicazione sociale favoriscono nel modo più largo e più rapido la conoscenza degli avvenimenti e la diffusione delle idee e dei sentimenti, suscitando così numerose reazioni a catena. Né va sottovalutato che moltissima gente, spinta per varie ragioni ad emigrare, cambia il suo modo di vivere. In tal modo, senza arresto si moltiplicano i rapporti dell'uomo coi suoi simili, mentre a sua volta questa « socializzazione » crea nuovi legami, senza tuttavia favorire sempre una corrispondente maturazione delle persone e rapporti veramente personali, cioè la « personalizzazione ». Un'evoluzione siffatta appare più manifesta nelle nazioni che già godono del progresso economico e tecnico; ma essa mette in movimento anche quei popoli ancora in via di sviluppo, che aspirano ad ottenere per i loro paesi i benefici della industrializzazione e dell'urbanizzazione.

Questi popoli, specialmente se vincolati da più antiche tradizioni, sentono allo stesso tempo il bisogno di esercitare la loro libertà in modo più adulto e più personale.

7. Mutamenti psicologici, morali e religiosi.

Il cambiamento di mentalità e di strutture spesso mette in causa i valori tradizionali, soprattutto tra i giovani: frequentemente impazienti, essi diventano ribelli per l'inquietudine; consci della loro importanza nella vita sociale, desiderano assumere al più presto le loro responsabilità.

Spesso genitori ed educatori si trovano per questo ogni giorno in maggiori difficoltà nell'adempimento del loro compito.

Le istituzioni, le leggi, i modi di pensare e di sentire ereditati dal passata non sempre si adattano bene alla situazione attuale; di qui un profondo disagio nel comportamento e nelle stesse norme di condotta. Anche la vita religiosa, infine, è sotto l'influsso delle nuove situazioni. Da un lato, un più acuto senso critico la purifica da ogni concezione magica nel mondo e dalle sopravvivenze superstiziose ed esige un adesione sempre più personale e attiva alla fede; numerosi sono perciò coloro che giungono a un più vivo senso di Dio. D'altro canto però, moltitudini crescenti praticamente si staccano dalla religione. A differenza dei tempi passati, negare Dio o la religione o farne praticamente a meno, non è più un fatto insolito e individuale.

Oggi infatti non raramente un tale comportamento viene presentato come esigenza del progresso scientifico o di un nuovo tipo di umanesimo.

Tutto questo in molti paesi non si manifesta solo a livello filosofico, ma invade in misura notevolissima il campo delle lettere, delle arti, dell' interpretazione delle scienze umane e della storia, anzi la stessa legislazione: di qui il disorientamento di molti.

8. Squilibri nel mondo contemporaneo.

Una così rapida evoluzione, spesso disordinatamente realizzata, e la stessa presa di coscienza sempre più acuta delle discrepanze esistenti nel mondo, generano o aumentano contraddizioni e squilibri. Anzitutto a livello della persona si nota molto spesso lo squilibrio tra una moderna intelligenza pratica e il modo di pensare speculativo, che non riesce a dominare né a ordinare in sintesi soddisfacenti l'insieme delle sue conoscenze.

Uno squilibrio si genera anche tra la preoccupazione dell'efficienza pratica e le esigenze della coscienza morale, nonché molte volte tra le condizioni della vita collettiva e le esigenze di un pensiero personale e della stessa contemplazione.

Di qui ne deriva infine lo squilibrio tra le specializzazioni dell'attività umana e una visione universale della realtà. Nella famiglia poi le tensioni nascono sia dalla pesantezza delle condizioni demografiche, economiche e sociali, sia dal conflitto tra le generazioni che si susseguono, sia dal nuovo tipo di rapporti sociali tra uomo e donna. Grandi contrasti sorgono anche tra le razze e le diverse categorie sociali; tra nazioni ricche e meno dotate e povere; infine tra le istituzioni internazionali nate dall'aspirazione dei popoli alla pace e l'ambizione di imporre la propria ideologia, nonché gli egoismi collettivi esistenti negli Stati o in altri gruppi.

Di qui derivano diffidenze e inimicizie, conflitti ed amarezze di cui l'uomo è a un tempo causa e vittima.

9. Le aspirazioni sempre più universali dell'umanità.

Cresce frattanto la convinzione che l'umanità non solo può e deve sempre più rafforzare il suo dominio sul creato, ma che le compete inoltre instaurare un ordine politico, sociale ed economico che sempre più e meglio serva l'uomo e aiuti i singoli e i gruppi ad affermare e sviluppare la propria dignità. Donde le aspre rivendicazioni di tanti che, prendendo nettamente coscienza, reputano di essere stati privati di quei beni per ingiustizia o per una non equa distribuzione.

I paesi in via di sviluppo o appena giunti all'indipendenza desiderano partecipare ai benefici della civiltà moderna non solo sul piano politico ma anche economico, e liberamente compiere la loro parte nel mondo; invece cresce ogni giorno la loro distanza e spesso la dipendenza anche economica dalle altre nazioni più ricche, che progrediscono più rapidamente.

I popoli attanagliati dalla fame chiamano in causa i popoli più ricchi.

Le donne rivendicano, là dove ancora non l'hanno raggiunta, la parità con gli uomini, non solo di diritto, ma anche di fatto. Operai e contadini non vogliono solo guadagnarsi il necessario per vivere, ma sviluppare la loro personalità col lavoro, anzi partecipare all'organizzazione della vita economica, sociale, politica e culturale. Per la prima volta nella storia umana, i popoli sono oggi persuasi che i benefici della civiltà possono e debbono realmente estendersi a tutti.

Sotto tutte queste rivendicazioni si cela un'aspirazione più profonda e universale.

I singoli e i gruppi organizzati anelano infatti a una vita piena e libera, degna dell'uomo, che metta al proprio servizio tutto quanto il mondo oggi offre loro così abbondantemente.

Anche le nazioni si sforzano sempre più di raggiungere una certa comunità universale.

Stando così le cose, il mondo si presenta oggi potente a un tempo e debole, capace di operare il meglio e il peggio, mentre gli si apre dinanzi la strada della libertà o della schiavitù, del progresso o del regresso, della fraternità o dell'odio. Inoltre l'uomo prende coscienza che dipende da lui orientare bene le forze da lui stesso suscitate e che possono schiacciarlo o servirgli.

Per questo si pone degli interrogativi.

10. Gli interrogativi più profondi del genere umano.

In verità gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell'uomo. È proprio all'interno dell'uomo che molti elementi si combattono a vicenda. Da una parte infatti, come creatura, esperimenta in mille modi i suoi limiti; d'altra parte sente di essere senza confini nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore. Sollecitato da molte attrattive, è costretto sempre a sceglierne qualcuna e a rinunziare alle altre. Inoltre, debole e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe (4).

Per cui soffre in se stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società. Molti, è vero, la cui vita è impregnata di materialismo pratico, sono lungi dall'avere una chiara percezione di questo dramma; oppure, oppressi dalla miseria, non hanno modo di rifletterci. Altri, in gran numero, credono di trovare la loro tranquillità nelle diverse spiegazioni del mondo che sono loro proposte. Alcuni poi dai soli sforzi umani attendono una vera e piena liberazione dell'umanità, e sono persuasi che il futuro regno dell'uomo sulla terra appagherà tutti i desideri del suo cuore. Né manca chi, disperando di dare uno scopo alla vita, loda l'audacia di quanti, stimando l'esistenza umana vuota in se stessa di significato, si sforzano di darne una spiegazione completa mediante la loro sola ispirazione.

Con tutto ciò, di fronte all'evoluzione attuale del mondo, diventano sempre più numerosi quelli che si pongono o sentono con nuova acutezza gli interrogativi più fondamentali: cos'è l'uomo?

Qual è il significato del dolore, del male, della morte, che continuano a sussistere malgrado ogni progresso?

Cosa valgono quelle conquiste pagate a così caro prezzo?

Che apporta l'uomo alla società, e cosa può attendersi da essa?

Cosa ci sarà dopo questa vita?

Ecco: la Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto (5), dà sempre all'uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere alla sua altissima vocazione; né è dato in terra un altro Nome agli uomini, mediante il quale possono essere salvati (6). Essa crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana.

Inoltre la Chiesa afferma che al di là di tutto ciò che muta stanno realtà immutabili; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli (7).

Così nella luce di Cristo, immagine del Dio invisibile, primogenito di tutte le creature (8) il Concilio intende rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell'uomo e per cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del nostro tempo.


PARTE I

LA CHIESA E LA VOCAZIONE DELL'UOMO

11. Rispondere agli impulsi dello Spirito.

Il popolo di Dio, mosso dalla fede con cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore che riempie l'universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio. La fede infatti tutto rischiara di una luce nuova, e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell'uomo, orientando così lo spirito verso soluzioni pienamente umane.

In questa luce, il Concilio si propone innanzitutto di esprimere un giudizio su quei valori che oggi sono più stimati e di ricondurli alla loro divina sorgente.

Questi valori infatti, in quanto procedono dall'ingegno umano che all'uomo è stato dato da Dio, sono in sé ottimi ma per effetto della corruzione del cuore umano non raramente vengono distorti dall'ordine richiesto, per cui hanno bisogno di essere purificati.

Che pensa la Chiesa dell'uomo?

Quali orientamenti sembra debbano essere proposti per la edificazione della società attuale?

Qual è il significato ultimo della attività umana nell'universo?

Queste domande reclamano una riposta. In seguito, risulterà ancora più chiaramente che il popolo di Dio e l'umanità, entro la quale esso è inserito, si rendono reciproco servizio, così che la missione della Chiesa si mostra di natura religiosa e per ciò stesso profondamente umana.

CAPITOLO I

LA DIGNITÀ DELLA PERSONA UMANA

12. L'uomo ad immagine di Dio.

Credenti e non credenti sono generalmente d'accordo nel ritenere che tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all'uomo, come a suo centro e a suo vertice.

Ma che cos'è l'uomo?

Molte opinioni egli ha espresso ed esprime sul proprio conto, opinioni varie ed anche contrarie, secondo le quali spesso o si esalta così da fare di sé una regola assoluta, o si abbassa fino alla disperazione, finendo in tal modo nel dubbio e nell'angoscia.

Queste difficoltà la Chiesa le sente profondamente e ad esse può dare una risposta che le viene dall'insegnamento della divina Rivelazione, risposta che descrive la vera condizione dell'uomo, dà una ragione delle sue miserie, ma in cui possono al tempo stesso essere giustamente riconosciute la sua dignità e vocazione.

La Bibbia, infatti, insegna che l'uomo è stato creato « ad immagine di Dio » capace di conoscere e di amare il suo Creatore, e che fu costituito da lui sopra tutte le creature terrene (9) quale signore di esse, per governarle e servirsene a gloria di Dio (10).

« Che cosa è l'uomo, che tu ti ricordi di lui? o il figlio dell'uomo che tu ti prenda cura di lui?

L'hai fatto di poco inferiore agli angeli, l'hai coronato di gloria e di onore, e l'hai costituito sopra le opere delle tue mani. Tutto hai sottoposto ai suoi piedi » (Sal8,5).

Ma Dio non creò l'uomo lasciandolo solo: fin da principio « uomo e donna li creò » (Gen1,27) e la loro unione costituisce la prima forma di comunione di persone.

L'uomo, infatti, per sua intima natura è un essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti.

Perciò Iddio, ancora come si legge nella Bibbia, vide « tutte quante le cose che aveva fatte, ed erano buone assai» (Gen1,31).

13. Il peccato.

Costituito da Dio in uno stato di giustizia, l'uomo però, tentato dal Maligno, fin dagli inizi della storia abusò della libertà, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di lui.

Pur avendo conosciuto Dio, gli uomini « non gli hanno reso l'onore dovuto... ma si è ottenebrato il loro cuore insipiente »... e preferirono servire la creatura piuttosto che il Creatore (11).

Quel che ci viene manifestato dalla rivelazione divina concorda con la stessa esperienza.

Infatti l'uomo, se guarda dentro al suo cuore, si scopre inclinato anche al male e immerso in tante miserie, che non possono certo derivare dal Creatore, che è buono.

Spesso, rifiutando di riconoscere Dio quale suo principio, l'uomo ha infranto il debito ordine in rapporto al suo fine ultimo, e al tempo stesso tutta l'armonia, sia in rapporto a se stesso, sia in rapporto agli altri uomini e a tutta la creazione.

Così l'uomo si trova diviso in se stesso.

Per questo tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre.

Anzi l'uomo si trova incapace di superare efficacemente da sé medesimo gli assalti del male, così che ognuno si sente come incatenato.

Ma il Signore stesso è venuto a liberare l'uomo e a dargli forza, rinnovandolo nell'intimo e scacciando fuori « il principe di questo mondo » (Gv12,31), che lo teneva schiavo del peccato (12).

Il peccato è, del resto, una diminuzione per l'uomo stesso, in quanto gli impedisce di conseguire la propria pienezza. Nella luce di questa Rivelazione trovano insieme la loro ragione ultima sia la sublime vocazione, sia la profonda miseria, di cui gli uomini fanno l'esperienza.

14. Costituzione dell'uomo.

Unità di anima e di corpo, l'uomo sintetizza in sé, per la stessa sua condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore (13). Non è lecito dunque disprezzare la vita corporale dell'uomo.

Al contrario, questi è tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo, appunto perché creato da Dio e destinato alla risurrezione nell'ultimo giorno.

E tuttavia, ferito dal peccato, l'uomo sperimenta le ribellioni del corpo.

Perciò è la dignità stessa dell'uomo che postula che egli glorifichi Dio nel proprio corpo (14) e che non permetta che esso si renda schiavo delle perverse inclinazioni del cuore.

L'uomo, in verità, non sbaglia a riconoscersi superiore alle cose corporali e a considerarsi più che soltanto una particella della natura o un elemento anonimo della città umana.

Infatti, nella sua interiorità, egli trascende l'universo delle cose: in quelle profondità egli torna, quando fa ritorno a se stesso, là dove lo aspetta quel Dio che scruta i cuori (15) là dove sotto lo sguardo di Dio egli decide del suo destino. Perciò, riconoscendo di avere un'anima spirituale e immortale, non si lascia illudere da una creazione immaginaria che si spiegherebbe solamente mediante le condizioni fisiche e sociali, ma invece va a toccare in profondo la verità stessa delle cose.

15. Dignità dell'intelligenza, verità e saggezza.

L'uomo ha ragione di ritenersi superiore a tutto l'universo delle cose, a motivo della sua intelligenza, con cui partecipa della luce della mente di Dio.

Con l'esercizio appassionato dell'ingegno lungo i secoli egli ha fatto certamente dei progressi nelle scienze empiriche, nelle tecniche e nelle discipline liberali Nell'epoca nostra, poi, ha conseguito successi notevoli particolarmente nella investigazione e nel dominio del mondo materiale.

E tuttavia egli ha sempre cercato e trovato una verità più profonda.

L'intelligenza, infatti, non si restringe all'ambito dei soli fenomeni, ma può conquistare con vera certezza la realtà intelligibile, anche se, per conseguenza del peccato, si trova in parte oscurata e debilitata. Infine, la natura intelligente della persona umana può e deve raggiungere la perfezione. Questa mediante la sapienza attrae con dolcezza la mente a cercare e ad amare il vero e il bene; l'uomo che se ne nutre è condotto attraverso il visibile all'invisibile.

L'epoca nostra, più ancora che i secoli passati, ha bisogno di questa sapienza per umanizzare tutte le sue nuove scoperte. È in pericolo, di fatto, il futuro del mondo, a meno che non vengano suscitati uomini più saggi. Inoltre va notato come molte nazioni, economicamente più povere rispetto ad altre, ma più ricche di saggezza, potranno aiutare potentemente le altre.

Col dono, poi, dello Spirito Santo, l'uomo può arrivare nella fede a contemplare e a gustare il mistero del piano divino (16).

16. Dignità della coscienza morale.

Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell'intimità del cuore: fa questo, evita quest'altro.

L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato (17). La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità (18).

Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell'amore di Dio e del prossimo (19). Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità numerosi problemi morali, che sorgono tanto nella vita privata quanto in quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità. Tuttavia succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità.

Ma ciò non si può dire quando l'uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all'abitudine del peccato.

17. Grandezza della libertà.

Ma l'uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà.

I nostri contemporanei stimano grandemente e perseguono con ardore tale libertà, e a ragione. Spesso però la coltivano in modo sbagliato quasi sia lecito tutto quel che piace, compreso il male.

La vera libertà, invece, è nell'uomo un segno privilegiato dell'immagine divina.

Dio volle, infatti, lasciare l'uomo « in mano al suo consiglio » (20) che cerchi spontaneamente il suo Creatore e giunga liberamente, aderendo a lui, alla piena e beata perfezione.

Perciò la dignità dell'uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e determinato da convinzioni personali, e non per un cieco impulso istintivo o per mera coazione esterna. L'uomo perviene a tale dignità quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fine mediante la scelta libera del bene e se ne procura con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti. Questa ordinazione verso Dio, la libertà dell'uomo, realmente ferita dal peccato, non può renderla effettiva in pieno se non mediante l'aiuto della grazia divina.

Ogni singolo uomo, poi, dovrà rendere conto della propria vita davanti al tribunale di Dio, per tutto quel che avrà fatto di bene e di male (21).

18. Il mistero della morte.

In faccia alla morte l'enigma della condizione umana raggiunge il culmine.

L'uomo non è tormentato solo dalla sofferenza e dalla decadenza progressiva del corpo, ma anche, ed anzi, più ancora, dal timore di una distruzione definitiva.

Ma l'istinto del cuore lo fa giudicare rettamente, quando aborrisce e respinge l'idea di una totale rovina e di un annientamento definitivo della sua persona.

Il germe dell'eternità che porta in sé, irriducibile com'è alla sola materia, insorge contro la morte. Tutti i tentativi della tecnica, per quanto utilissimi, non riescono a calmare le ansietà dell'uomo: il prolungamento di vita che procura la biologia non può soddisfare quel desiderio di vita ulteriore, invincibilmente ancorato nel suo cuore. Se qualsiasi immaginazione vien meno di fronte alla morte, la Chiesa invece, istruita dalla Rivelazione divina, afferma che l'uomo è stato creato da Dio per un fine di felicità oltre i confini delle miserie terrene. Inoltre la fede cristiana insegna che la morte corporale, dalla quale l'uomo sarebbe stato esentato se non avesse peccato (22), sarà vinta un giorno, quando l'onnipotenza e la misericordia del Salvatore restituiranno all'uomo la salvezza perduta per sua colpa. Dio infatti ha chiamato e chiama l'uomo ad aderire a lui con tutto il suo essere, in una comunione perpetua con la incorruttibile vita divina. Questa vittoria l'ha conquistata il Cristo risorgendo alla vita, liberando l'uomo dalla morte mediante la sua morte (23).

Pertanto la fede, offrendosi con solidi argomenti a chiunque voglia riflettere, dà una risposta alle sue ansietà circa la sorte futura; e al tempo stesso dà la possibilità di una comunione nel Cristo con i propri cari già strappati dalla morte, dandoci la speranza che essi abbiano già raggiunto la vera vita presso Dio.

19. Forme e radici dell'ateismo.

L'aspetto più sublime della dignità dell'uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l'uomo è invitato al dialogo con Dio.

Se l'uomo esiste, infatti, è perché Dio lo ha creato per amore e, per amore, non cessa di dargli l'esistenza; e l'uomo non vive pienamente secondo verità se non riconosce liberamente quell'amore e se non si abbandona al suo Creatore. Molti nostri contemporanei, tuttavia, non percepiscono affatto o esplicitamente rigettano questo intimo e vitale legame con Dio: a tal punto che l'ateismo va annoverato fra le realtà più gravi del nostro tempo e va esaminato con diligenza ancor maggiore. Con il termine « ateismo » vengono designati fenomeni assai diversi tra loro.

Alcuni atei, infatti, negano esplicitamente Dio; altri ritengono che l'uomo non possa dir niente di lui; altri poi prendono in esame i problemi relativi a Dio con un metodo tale che questi sembrano non aver senso. Molti, oltrepassando indebitamente i confini delle scienze positive, o pretendono di spiegare tutto solo da questo punto di vista scientifico, oppure al contrario non ammettono ormai più alcuna verità assoluta. Alcuni tanto esaltano l'uomo, che la fede in Dio ne risulta quasi snervata, inclini come sono, a quanto sembra, ad affermare l'uomo più che a negare Dio.

Altri si creano una tale rappresentazione di Dio che, respingendolo, rifiutano un Dio che non è affatto quello del Vangelo. Altri nemmeno si pongono il problema di Dio: non sembrano sentire alcuna inquietudine religiosa, né riescono a capire perché dovrebbero interessarsi di religione. L'ateismo inoltre ha origine sovente, o dalla protesta violenta contro il male nel mondo, o dall'aver attribuito indebitamente i caratteri propri dell'assoluto a qualche valore umano, così che questo prende il posto di Dio. Perfino la civiltà moderna, non per sua essenza, ma in quanto troppo irretita nella realtà terrena, può rendere spesso più difficile l'accesso a Dio.

Senza dubbio coloro che volontariamente cercano di tenere lontano Dio dal proprio cuore e di evitare i problemi religiosi, non seguendo l'imperativo della loro coscienza, non sono esenti da colpa; tuttavia in questo campo anche i credenti spesso hanno una certa responsabilità.

Infatti l'ateismo, considerato nel suo insieme, non è qualcosa di originario, bensì deriva da cause diverse, e tra queste va annoverata anche una reazione critica contro le religioni, anzi in alcune regioni, specialmente contro la religione cristiana.

Per questo nella genesi dell'ateismo possono contribuire non poco i credenti, nella misura in cui, per aver trascurato di educare la propria fede, o per una presentazione ingannevole della dottrina, od anche per i difetti della propria vita religiosa, morale e sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto di Dio e della religione.

20. L'ateismo sistematico.

L'ateismo moderno si presenta spesso anche in una forma sistematica, secondo cui, oltre ad altre cause, l'aspirazione all'autonomia dell'uomo viene spinta a un tal punto, da far ostacolo a qualunque dipendenza da Dio. Quelli che professano un tale ateismo sostengono che la libertà consista nel fatto che l'uomo sia fine a se stesso, unico artefice e demiurgo della propria storia; cosa che non può comporsi, così essi pensano, con il riconoscimento di un Signore, autore e fine di tutte le cose, o che almeno rende semplicemente superflua tale affermazione.

Una tale dottrina può essere favorita da quel senso di potenza che l'odierno progresso tecnico ispira all uomo. Tra le forme dell'ateismo moderno non va trascurata quella che si aspetta la liberazione dell'uomo soprattutto dalla sua liberazione economica e sociale La religione sarebbe di ostacolo, per natura sua, a tale liberazione, in quanto, elevando la speranza dell'uomo verso il miraggio di una vita futura, la distoglierebbe dall'edificazione della città terrena.

Perciò i fautori di tale dottrina, là dove accedono al potere, combattono con violenza la religione e diffondono l'ateismo anche ricorrendo agli strumenti di pressione di cui dispone il potere pubblico, specialmente nel campo dell'educazione dei giovani.

21. Atteggiamento della Chiesa di fronte all'ateismo.

La Chiesa, fedele ai suoi doveri verso Dio e verso gli uomini, non può fare a meno di riprovare, come ha fatto in passato (24), con tutta fermezza e con dolore, quelle dottrine e quelle azioni funeste che contrastano con la ragione e con l'esperienza comune degli uomini e che degradano l'uomo dalla sua innata grandezza. Si sforza tuttavia di scoprire le ragioni della negazione di Dio che si nascondono nella mente degli atei e, consapevole della gravità delle questioni suscitate dall'ateismo, mossa dal suo amore verso tutti gli uomini, ritiene che esse debbano meritare un esame più serio e più profondo. La Chiesa crede che il riconoscimento di Dio non si oppone in alcun modo alla dignità dell'uomo, dato che questa dignità trova proprio in Dio il suo fondamento e la sua perfezione. L'uomo infatti riceve da Dio Creatore le doti di intelligenza e di libertà ed è costituito nella società; ma soprattutto è chiamato alla comunione con Dio stesso in qualità di figlio e a partecipare alla sua stessa felicità. Inoltre la Chiesa insegna che la speranza escatologica non diminuisce l'importanza degli impegni terreni, ma anzi dà nuovi motivi a sostegno dell'attuazione di essi.

Al contrario, invece, se manca la base religiosa e la speranza della vita eterna, la dignità umana viene lesa in maniera assai grave, come si constata spesso al giorno d'oggi, e gli enigmi della vita e della morte, della colpa e del dolore rimangono senza soluzione, tanto che non di rado gli uomini sprofondano nella disperazione. E intanto ciascun uomo rimane ai suoi propri occhi un problema insoluto, confusamente percepito. Nessuno, infatti, in certe ore e particolarmente in occasione dei grandi avvenimenti della vita può evitare totalmente quel tipo di interrogativi sopra ricordato.

A questi problemi soltanto Dio dà una risposta piena e certa, lui che chiama l'uomo a una riflessione più profonda e a una ricerca più umile. Quanto al rimedio all'ateismo, lo si deve attendere sia dall'esposizione adeguata della dottrina della Chiesa, sia dalla purezza della vita di essa e dei suoi membri. La Chiesa infatti ha il compito di rendere presenti e quasi visibili Dio Padre e il Figlio suo incarnato, rinnovando se stessa e purificandosi senza posa sotto la guida dello Spirito Santo (25).

Ciò si otterrà anzi tutto con la testimonianza di una fede viva e adulta, vale a dire opportunamente formata a riconoscere in maniera lucida le difficoltà e capace di superarle.

Di una fede simile han dato e danno testimonianza sublime moltissimi martiri.

Questa fede deve manifestare la sua fecondità, col penetrare l'intera vita dei credenti, compresa la loro vita profana, e col muoverli alla giustizia e all'amore, specialmente verso i bisognosi.

Ciò che contribuisce di più, infine, a rivelare la presenza di Dio, è la carità fraterna dei fedeli che unanimi nello spirito lavorano insieme per la fede del Vangelo (26) e si presentano quale segno di unità. La Chiesa, poi, pur respingendo in maniera assoluta l'ateismo, tuttavia riconosce sinceramente che tutti gli uomini, credenti e non credenti, devono contribuire alla giusta costruzione di questo mondo, entro il quale si trovano a vivere insieme: ciò, sicuramente, non può avvenire senza un leale e prudente dialogo. Essa pertanto deplora la discriminazione tra credenti e non credenti che alcune autorità civili ingiustamente introducono, a danno dei diritti fondamentali della persona umana. Rivendica poi, in favore dei credenti, una effettiva libertà, perché sia loro consentito di edificare in questo mondo anche il tempio di Dio. Quanto agli atei, essa li invita cortesemente a volere prendere in considerazione il Vangelo di Cristo con animo aperto.

La Chiesa sa perfettamente che il suo messaggio è in armonia con le aspirazioni più segrete del cuore umano quando essa difende la dignità della vocazione umana, e così ridona la speranza a quanti ormai non osano più credere alla grandezza del loro destino.

Il suo messaggio non toglie alcunché all'uomo, infonde invece luce, vita e libertà per il suo progresso, e all'infuori di esso, niente può soddisfare il cuore dell'uomo: « Ci hai fatto per te », o Signore, «e il nostro cuore è senza pace finché non riposa in te» (27).

22. Cristo, l'uomo nuovo.

In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo.

Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (28) (Rm5,14) e cioè di Cristo Signore.

Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione.

Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte in lui trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice. Egli è « l'immagine dell'invisibile Iddio » (Col1,15) (29) è l'uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato.

Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata (30) per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime.

Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo.

Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con intelligenza d'uomo, ha agito con volontà d'uomo (31) ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato (32). Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita; in lui Dio ci ha riconciliati con se stesso e tra noi (33) e ci ha strappati dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con l'Apostolo: il Figlio di Dio « mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me» (Gal2,20). Soffrendo per noi non ci ha dato semplicemente l'esempio perché seguiamo le sue orme (34) ma ci ha anche aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la morte vengono santificate e acquistano nuovo significato.

Il cristiano poi, reso conforme all'immagine del Figlio che è il primogenito tra molti fratelli riceve «le primizie dello Spirito» (Rm8,23) (35) per cui diventa capace di adempiere la legge nuova dell'amore (36).

In virtù di questo Spirito, che è il «pegno della eredità» (Ef 1,14), tutto l'uomo viene interiormente rinnovato, nell'attesa della « redenzione del corpo » (Rm 8,23): « Se in voi dimora lo Spirito di colui che risuscitò Gesù da morte, egli che ha risuscitato Gesù Cristo da morte darà vita anche ai vostri corpi mortali, mediante il suo Spirito che abita in voi» (Rm8,11) (37).

Il cristiano certamente è assillato dalla necessità e dal dovere di combattere contro il male attraverso molte tribolazioni, e di subire la morte; ma, associato al mistero pasquale, diventando conforme al Cristo nella morte, così anche andrà incontro alla risurrezione fortificato dalla speranza (38).

E ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia (39). Cristo, infatti, è morto per tutti (40) e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale.

Tale e così grande è il mistero dell'uomo, questo mistero che la Rivelazione cristiana fa brillare agli occhi dei credenti. Per Cristo e in Cristo riceve luce quell'enigma del dolore e della morte, che al di fuori del suo Vangelo ci opprime. Con la sua morte egli ha distrutto la morte, con la sua risurrezione ci ha fatto dono della vita (41), perché anche noi, diventando figli col Figlio, possiamo pregare esclamando nello Spirito: Abba, Padre! (42).

CAPITOLO II

LA COMUNITÀ DEGLI UOMINI

23. Che cosa intende il Concilio.

Il moltiplicarsi delle relazioni tra gli uomini costituisce uno degli aspetti più importanti del mondo di oggi, al cui sviluppo molto contribuisce il progresso tecnico contemporaneo.

Tuttavia il fraterno dialogo tra gli uomini non trova il suo compimento in tale progresso, ma più profondamente nella comunità delle persone, e questa esige un reciproco rispetto della loro piena dignità spirituale. La Rivelazione cristiana dà grande aiuto alla promozione di questa comunione tra persone; nello stesso tempo ci guida ad un approfondimento delle leggi che regolano la vita sociale, scritte dal Creatore nella natura spirituale e morale dell'uomo.

Siccome documenti recenti del magistero della Chiesa hanno esposto diffusamente la dottrina cristiana circa l'umana società (43), il Concilio ricorda solo alcune verità più importanti e ne espone i fondamenti alla luce della Rivelazione.

Insiste poi su certe conseguenze che sono particolarmente importanti per il nostro tempo.

24. L'indole comunitaria dell'umana vocazione nel piano di Dio.

Iddio, che ha cura paterna di tutti, ha voluto che tutti gli uomini formassero una sola famiglia e si trattassero tra loro come fratelli. Tutti, infatti, creati ad immagine di Dio « che da un solo uomo ha prodotto l'intero genere umano affinché popolasse tutta la terra » (At17,26), sono chiamati al medesimo fine, che è Dio stesso. Perciò l'amor di Dio e del prossimo è il primo e più grande comandamento. La sacra Scrittura, da parte sua, insegna che l'amor di Dio non può essere disgiunto dall'amor del prossimo, «e tutti gli altri precetti sono compendiati in questa frase: amerai il prossimo tuo come te stesso. La pienezza perciò della legge è l'amore » (Rm13,9); (1Gv4,20).

È evidente che ciò è di grande importanza per degli uomini sempre più dipendenti gli uni dagli altri e per un mondo che va sempre più verso l'unificazione.

Anzi, il Signore Gesù, quando prega il Padre perché « tutti siano una cosa sola, come io e tu siamo una cosa sola » (Gv17,21), aprendoci prospettive inaccessibili alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l'unione delle Persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nell'amore.

Questa similitudine manifesta che l'uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé (44).

25. Interdipendenza della persona e della umana società.

Dal carattere sociale dell'uomo appare evidente come il perfezionamento della persona umana e lo sviluppo della stessa società siano tra loro interdipendenti.

Infatti, la persona umana, che di natura sua ha assolutamente bisogno d'una vita sociale, è e deve essere principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali (45).

Poiché la vita sociale non è qualcosa di esterno all'uomo, l'uomo cresce in tutte le sue capacità e può rispondere alla sua vocazione attraverso i rapporti con gli altri, la reciprocità dei servizi e il dialogo con i fratelli. Tra i vincoli sociali che sono necessari al perfezionamento dell'uomo, alcuni, come la famiglia e la comunità politica, sono più immediatamente rispondenti alla sua natura intima; altri procedono piuttosto dalla sua libera volontà.

In questo nostro tempo, per varie cause, si moltiplicano rapporti e interdipendenze, dalle quali nascono associazioni e istituzioni diverse di diritto pubblico o privato.

Questo fatto, che viene chiamato socializzazione, sebbene non manchi di pericoli, tuttavia reca in sé molti vantaggi nel rafforzamento e accrescimento delle qualità della persona umana e nella tutela dei suoi diritti (46). Ma se le persone umane ricevono molto da tale vita sociale per assolvere alla propria vocazione, anche religiosa, non si può tuttavia negare che gli uomini dal contesto sociale nel quale vivono e sono immersi fin dalla infanzia, spesso sono sviati dal bene e spinti al male.

È certo che i perturbamenti, così frequenti nell'ordine sociale, provengono in parte dalla tensione che esiste in seno alle strutture economiche, politiche e sociali.

Ma, più radicalmente, nascono dalla superbia e dall'egoismo umano, che pervertono anche l'ambiente sociale. Là dove l'ordine delle cose è turbato dalle conseguenze del peccato, l'uomo già dalla nascita incline al male, trova nuovi incitamenti al peccato, che non possono esser vinti senza grandi sforzi e senza l'aiuto della grazia.

26. Promuovere il bene comune.

Dall'interdipendenza sempre più stretta e piano piano estesa al mondo intero deriva che il bene comune - cioè l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente - oggi vieppiù diventa universale, investendo diritti e doveri che riguardano l'intero genere umano.

Pertanto ogni gruppo deve tener conto dei bisogni e delle legittime aspirazioni degli altri gruppi, anzi del bene comune dell'intera famiglia umana (47). Contemporaneamente cresce la coscienza dell'eminente dignità della persona umana, superiore a tutte le cose e i cui diritti e doveri sono universali e inviolabili. Occorre perciò che sia reso accessibile all'uomo tutto ciò di cui ha bisogno per condurre una vita veramente umana, come il vitto, il vestito, l'abitazione, il diritto a scegliersi liberamente lo stato di vita e a fondare una famiglia, il diritto all'educazione, al lavoro, alla reputazione, al rispetto, alla necessaria informazione, alla possibilità di agire secondo il retto dettato della sua coscienza, alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in campo religioso.

L'ordine sociale pertanto e il suo progresso debbono sempre lasciar prevalere il bene delle persone, poiché l'ordine delle cose deve essere subordinato all'ordine delle persone e non l'inverso, secondo quanto suggerisce il Signore stesso quando dice che il sabato è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato (48). Quell'ordine è da sviluppare sempre più, deve avere per base la verità, realizzarsi nella giustizia, essere vivificato dall'amore, deve trovare un equilibrio sempre più umano nella libertà (49).

Per raggiungere tale scopo bisogna lavorare al rinnovamento della mentalità e intraprendere profondi mutamenti della società. Lo Spirito di Dio, che con mirabile provvidenza dirige il corso dei tempi e rinnova la faccia della terra, è presente a questa evoluzione.

Il fermento evangelico suscitò e suscita nel cuore dell'uomo questa irrefrenabile esigenza di dignità.

27. Rispetto della persona umana.

Scendendo a conseguenze pratiche di maggiore urgenza, il Concilio inculca il rispetto verso l'uomo: ciascuno consideri il prossimo, nessuno eccettuato, come un altro « se stesso », tenendo conto della sua esistenza e dei mezzi necessari per viverla degnamente (50), per non imitare quel ricco che non ebbe nessuna cura del povero Lazzaro (51). Soprattutto oggi urge l'obbligo che diventiamo prossimi di ogni uomo e rendiamo servizio con i fatti a colui che ci passa accanto: vecchio abbandonato da tutti, o lavoratore straniero ingiustamente disprezzato, o esiliato, o fanciullo nato da un'unione illegittima, che patisce immeritatamente per un peccato da lui non commesso, o affamato che richiama la nostra coscienza, rievocando la voce del Signore: « Quanto avete fatto ad uno di questi minimi miei fratelli, l'avete fatto a me» (Mt25,40). Inoltre tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l'aborto, l'eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l'integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente, le costrizioni psicologiche; tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni di vita subumana, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro, con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili: tutte queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose. Mentre guastano la civiltà umana, disonorano coloro che così si comportano più ancora che quelli che le subiscono e ledono grandemente l'onore del Creatore.

28. Il rispetto e l'amore per gli avversari.

Il rispetto e l'amore deve estendersi pure a coloro che pensano od operano diversamente da noi nelle cose sociali, politiche e persino religiose, poiché con quanta maggiore umanità e amore penetreremo nei loro modi di vedere, tanto più facilmente potremo con loro iniziare un dialogo.

Certamente tale amore e amabilità non devono in alcun modo renderci indifferenti verso la verità e il bene. Anzi è l'amore stesso che spinge i discepoli di Cristo ad annunziare a tutti gli uomini la verità che salva. Ma occorre distinguere tra errore, sempre da rifiutarsi, ed errante, che conserva sempre la dignità di persona, anche quando è macchiato da false o insufficienti nozioni religiose (52).

Solo Dio è giudice e scrutatore dei cuori; perciò ci vieta di giudicare la colpevolezza interiore di chiunque (53). La dottrina del Cristo esige che noi perdoniamo anche le ingiurie (54) e il precetto dell'amore si estende a tutti i nemici; questo è il comandamento della nuova legge: «Udiste che fu detto: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e fate del bene a coloro che vi odiano e pregate per i vostri persecutori e calunniatori » (Mt5,43).

29. La fondamentale uguaglianza di tutti gli uomini e la giustizia sociale.

Tutti gli uomini, dotati di un'anima razionale e creati ad immagine di Dio, hanno la stessa natura e la medesima origine; tutti, redenti da Cristo godono della stessa vocazione e del medesimo destino divino: è necessario perciò riconoscere ognor più la fondamentale uguaglianza fra tutti.

Sicuramente, non tutti gli uomini sono uguali per la varia capacità fisica e per la diversità delle forze intellettuali e morali. Ma ogni genere di discriminazione circa i diritti fondamentali della persona, sia in campo sociale che culturale, in ragione del sesso, della razza, del colore, della condizione sociale, della lingua o religione, deve essere superato ed eliminato, come contrario al disegno di Dio.

Invero è doloroso constatare che quei diritti fondamentali della persona non sono ancora e dappertutto garantiti pienamente. Avviene così quando si nega alla donna la facoltà di scegliere liberamente il marito e di abbracciare un determinato stato di vita, oppure di accedere a un'educazione e a una cultura pari a quelle che si ammettono per l'uomo.

In più, benché tra gli uomini vi siano giuste diversità, la uguale dignità delle persone richiede che si giunga a condizioni di vita più umane e giuste.

Infatti le disuguaglianze economiche e sociali eccessive tra membri e tra popoli dell'unica famiglia umana, suscitano scandalo e sono contrarie alla giustizia sociale, all'equità, alla dignità della persona umana, nonché alla pace sociale e internazionale.

Le umane istituzioni, sia private che pubbliche, si sforzino di mettersi al servizio della dignità e del fine dell'uomo. Nello stesso tempo combattano strenuamente contro ogni forma di servitù sociale e politica, e garantiscano i fondamentali diritti degli uomini sotto qualsiasi regime politico.

Anzi, queste istituzioni si debbono a poco a poco accordare con le realtà spirituali, le più alte di tutte, anche se talora occorra un tempo piuttosto lungo per giungere al fine desiderato.

30. Occorre superare l'etica individualistica.

La profonda e rapida trasformazione delle cose esige, con più urgenza, che non vi sia alcuno che, non prestando attenzione al corso delle cose e intorpidito dall'inerzia, si contenti di un'etica puramente individualistica. Il dovere della giustizia e dell'amore viene sempre più assolto per il fatto che ognuno, interessandosi al bene comune secondo le proprie capacità e le necessità degli altri, promuove e aiuta anche le istituzioni pubbliche e private che servono a migliorare le condizioni di vita degli uomini. Vi sono di quelli che, pur professando opinioni larghe e generose, tuttavia continuano a vivere in pratica come se non avessero alcuna cura delle necessità della società.

Anzi molti, in certi paesi, tengono in poco conto le leggi e le prescrizioni sociali.

Non pochi non si vergognano di evadere, con vari sotterfugi e frodi, le giuste imposte o altri obblighi sociali. Altri trascurano certe norme della vita sociale, ad esempio ciò che concerne la salvaguardia della salute, o le norme stabilite per la guida dei veicoli, non rendendosi conto di metter in pericolo, con la loro incuria, la propria vita e quella degli altri. Che tutti prendano sommamente a cuore di annoverare le solidarietà sociali tra i principali doveri dell'uomo d'oggi, e di rispettarle.

Infatti quanto più il mondo si unifica, tanto più apertamente gli obblighi degli uomini superano i gruppi particolari e si estendono a poco a poco al mondo intero.

E ciò non può avvenire se i singoli uomini e i gruppi non coltivano le virtù morali e sociali e le diffondono nella società, cosicché sorgano uomini nuovi, artefici di una umanità nuova, con il necessario aiuto della grazia divina.

31. Responsabilità e partecipazione.

Affinché i singoli uomini assolvano con maggiore cura il proprio dovere di coscienza verso se stessi e verso i vari gruppi di cui sono membri, occorre educarli con diligenza ad acquisire una più ampia cultura spirituale, utilizzando gli enormi mezzi che oggi sono a disposizione del genere umano. Innanzitutto l'educazione dei giovani, di qualsiasi origine sociale, deve essere impostata in modo da suscitare uomini e donne, non tanto raffinati intellettualmente, ma di forte personalità, come è richiesto fortemente dal nostro tempo. Ma a tale senso di responsabilità l'uomo giunge con difficoltà se le condizioni della vita non gli permettono di prender coscienza della propria dignità e di rispondere alla sua vocazione, prodigandosi per Dio e per gli altri.

Invero la libertà umana spesso si indebolisce qualora l'uomo cada in estrema indigenza, come si degrada quando egli stesso, lasciandosi andare a una vita troppo facile, si chiude in una specie di aurea solitudine. Al contrario, essa si fortifica quando l'uomo accetta le inevitabili difficoltà della vita sociale, assume le molteplici esigenze dell'umana convivenza e si impegna al servizio della comunità umana. Perciò bisogna stimolare la volontà di tutti ad assumersi la propria parte nelle comuni imprese. È poi da lodarsi il modo di agire di quelle nazioni nelle quali la maggioranza dei cittadini è fatta partecipe degli affari pubblici, in una autentica libertà.

Si deve tuttavia tener conto delle condizioni concrete di ciascun popolo e della necessaria solidità dei pubblici poteri. Affinché poi tutti i cittadini siano spinti a partecipare alla vita dei vari gruppi di cui si compone il corpo sociale, è necessario che trovino in essi dei valori capaci di attirarli e di disporli al servizio degli altri. Si può pensare legittimamente che il futuro dell'umanità sia riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza.

32. Il Verbo incarnato e la solidarietà umana.

Come Dio creò gli uomini non perché vivessero individualisticamente, ma perché si unissero in società, così a lui anche «... piacque santificare e salvare gli uomini non a uno a uno, fuori di ogni mutuo legame, ma volle costituirli in popolo, che lo conoscesse nella verità e santamente lo servisse »  (55). Sin dall'inizio della storia della salvezza, egli stesso ha scelto degli uomini, non soltanto come individui ma come membri di una certa comunità Infatti questi eletti Dio, manifestando il suo disegno, chiamò a suo popolo» (Es3,7). Con questo popolo poi strinse il patto sul Sinai (56).

Tale carattere comunitario è perfezionato e compiuto dall'opera di Cristo Gesù.

Lo stesso Verbo incarnato volle essere partecipe della solidarietà umana.

Prese parte alle nozze di Cana, entrò nella casa di Zaccheo, mangiò con i pubblicani e i peccatori.

Ha rivelato l'amore del Padre e la magnifica vocazione degli uomini ricordando gli aspetti più ordinari della vita sociale e adoperando linguaggio e immagini della vita d'ogni giorno.

Santificò le relazioni umane, innanzitutto quelle familiari, dalle quali trae origine la vita sociale.

Si sottomise volontariamente alle leggi della sua patria. Volle condurre la vita di un artigiano del suo tempo e della sua regione. Nella sua predicazione ha chiaramente affermato che i figli di Dio hanno l'obbligo di trattarsi vicendevolmente come fratelli.

Nella sua preghiera chiese che tutti i suoi discepoli fossero una « cosa sola ».

Anzi egli stesso si offrì per tutti fino alla morte, lui il redentore di tutti. « Nessuno ha maggior amore di chi sacrifica la propria vita per i suoi amici » (Gv15,13).

Comandò inoltre agli apostoli di annunciare il messaggio evangelico a tutte le genti, perché il genere umano diventasse la famiglia di Dio, nella quale la pienezza della legge fosse l'amore. Primogenito tra molti fratelli, dopo la sua morte e risurrezione ha istituito attraverso il dono del suo Spirito una nuova comunione fraterna fra tutti coloro che l'accolgono con la fede e la carità: essa si realizza nel suo corpo, che è la Chiesa.

In questo corpo tutti, membri tra di loro, si debbono prestare servizi reciproci, secondo i doni diversi loro concessi. Questa solidarietà dovrà sempre essere accresciuta, fino a quel giorno in cui sarà consumata; in quel giorno gli uomini, salvati dalla grazia, renderanno gloria perfetta a Dio, come famiglia amata da Dio e da Cristo, loro fratello.

CAPITOLO III

L'ATTIVITÀ UMANA NELL'UNIVERSO

33. Il problema.

Col suo lavoro e col suo ingegno l'uomo ha cercato sempre di sviluppare la propria vita; ma oggi, specialmente con l'aiuto della scienza e della tecnica, ha dilatato e continuamente dilata il suo dominio su quasi tutta la natura e, grazie soprattutto alla moltiplicazione di mezzi di scambio tra le nazioni, la famiglia umana a poco a poco è venuta a riconoscersi e a costituirsi come una comunità unitaria nel mondo intero. Ne deriva che molti beni, che un tempo l'uomo si aspettava dalle forze superiori, oggi se li procura con la sua iniziativa e con le sue forze.

Di fronte a questo immenso sforzo, che orrnai pervade tutto il genere umano, molti interrogativi sorgono tra gli uomini: qual è il senso e il valore della attività umana?

Come vanno usate queste realtà? A quale scopo tendono gli sforzi sia individuali che collettivi?

La Chiesa, custode del deposito della parola di Dio, da cui vengono attinti i principi per l'ordine morale e religioso, anche se non ha sempre pronta la soluzione per ogni singola questione, desidera unire la luce della Rivelazione alla competenza di tutti allo scopo di illuminare la strada sulla quale si è messa da poco l'umanità.

34. Il valore dell'attività umana.

Per i credenti una cosa è certa: considerata in se stessa, l'attività umana individuale e collettiva, ossia quell'ingente sforzo col quale gli uomini nel corso dei secoli cercano di migliorare le proprie condizioni di vita, corrisponde alle intenzioni di Dio.

L'uomo infatti, creato ad immagine di Dio, ha ricevuto il comando di sottomettere a sé la terra con tutto quanto essa contiene (57), e di governare il mondo nella giustizia e nella santità, e cosi pure di riferire a Dio il proprio essere e l'universo intero, riconoscendo in lui il Creatore di tutte le cose; in modo che, nella subordinazione di tutta la realtà all'uomo, sia glorificato il nome di Dio su tutta la terra (58). Ciò vale anche per gli ordinari lavori quotidiani.

Gli uomini e le donne, infatti, che per procurarsi il sostentamento per sé e per la famiglia esercitano il proprio lavoro in modo tale da prestare anche conveniente servizio alla società, possono a buon diritto ritenere che con il loro lavoro essi prolungano l'opera del Creatore, si rendono utili ai propri fratelli e donano un contributo personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia (59). I cristiani, dunque, non si sognano nemmeno di contrapporre i prodotti dell'ingegno e del coraggio dell'uomo alla potenza di Dio, quasi che la creatura razionale sia rivale del Creatore; al contrario, sono persuasi piuttosto che le vittorie dell'umanità sono segno della grandezza di Dio e frutto del suo ineffabile disegno. Ma quanto più cresce la potenza degli uomini, tanto più si estende e si allarga la loro responsabilità, sia individuale che collettiva.

Da ciò si vede come il messaggio cristiano, lungi dal distogliere gli uomini dal compito di edificare il mondo o dall'incitarli a disinteressarsi del bene dei propri simili, li impegna piuttosto a tutto ciò con un obbligo ancora più pressante (60).

35. Norme dell'attività umana.

L'attività umana come deriva dall'uomo così è ordinata all'uomo.

L'uomo, infatti, quando lavora, non trasforma soltanto le cose e la società, ma perfeziona se stesso. Apprende molte cose, sviluppa le sue facoltà, esce da sé e si supera.

Tale sviluppo, se è ben compreso, vale più delle ricchezze esteriori che si possono accumulare. L'uomo vale più per quello che « è » che per quello che «ha» (61).

Parimenti tutto ciò che gli uomini compiono allo scopo di conseguire una maggiore giustizia, una più estesa fraternità e un ordine più umano dei rapporti sociali, ha più valore dei progressi in campo tecnico. Questi, infatti, possono fornire, per così dire, la base materiale della promozione umana, ma da soli non valgono in nessun modo a realizzarla.

Pertanto questa è la norma dell'attività umana: che secondo il disegno di Dio e la sua volontà essa corrisponda al vero bene dell'umanità, e che permetta all'uomo, considerato come individuo o come membro della società, di coltivare e di attuare la sua integrale vocazione.

36. La legittima autonomia delle realtà terrene.

Molti nostri contemporanei, però, sembrano temere che, se si fanno troppo stretti i legami tra attività umana e religione, venga impedita l'autonomia degli uomini, delle società, delle scienze.

Se per autonomia delle realtà terrene si vuol dire che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di una esigenza d'autonomia legittima: non solamente essa è rivendicata dagli uomini del nostro tempo, ma è anche conforme al volere del Creatore.

Infatti è dalla stessa loro condizione di creature che le cose tutte ricevono la loro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine; e tutto ciò l'uomo è tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza o tecnica.

Perciò la ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio (62).

Anzi, chi si sforza con umiltà e con perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza prenderne coscienza, viene come condotto dalla mano di Dio, il quale, mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quello che sono.

A questo proposito ci sia concesso di deplorare certi atteggiamenti mentali, che talvolta non sono mancati nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza, suscitando contese e controversie, essi trascinarono molti spiriti fino al punto da ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro (63).

Se invece con l'espressione « autonomia delle realtà temporali » si intende dire che le cose create non dipendono da Dio e che l'uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore, allora a nessuno che creda in Dio sfugge quanto false siano tali opinioni.

La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce.

Del resto tutti coloro che credono, a qualunque religione appartengano, hanno sempre inteso la voce e la manifestazione di Dio nel linguaggio delle creature.

Anzi, l'oblio di Dio rende opaca la creatura stessa.

37. L'attività umana corrotta dal peccato.

La sacra Scrittura, però, con cui si accorda l'esperienza dei secoli, insegna agli uomini che il progresso umano, che pure è un grande bene dell'uomo, porta con sé una seria tentazione.

Infatti, sconvolto l'ordine dei valori e mescolando il male col bene, gli individui e i gruppi guardano solamente agli interessi propri e non a quelli degli altri; cosi il mondo cessa di essere il campo di una genuina fraternità, mentre invece l'aumento della potenza umana minaccia di distruggere ormai lo stesso genere umano.

Tutta intera la storia umana è infatti pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta cominciata fin dall'origine del mondo, destinata a durare, come dice il Signore, fino all'ultimo giorno (64).

Inserito in questa battaglia, l'uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l'aiuto della grazia di Dio. Per questo la Chiesa di Cristo, fiduciosa nel piano provvidenziale del Creatore, mentre riconosce che il progresso umano può servire alla vera felicità degli uomini, non può tuttavia fare a meno di far risuonare il detto dell'Apostolo: « Non vogliate adattarvi allo stile di questo mondo » (Rm12,2) e cioè a quello spirito di vanità e di malizia che stravolge in strumento di peccato l'operosità umana, ordinata al servizio di Dio e dell'uomo.

Se dunque ci si chiede come può essere vinta tale miserevole situazione, i cristiani per risposta affermano che tutte le attività umane, che son messe in pericolo quotidianamente dalla superbia e dall'amore disordinato di se stessi, devono venir purificate e rese perfette per mezzo della croce e della risurrezione di Cristo.

Redento da Cristo e diventato nuova creatura nello Spirito Santo, l'uomo, infatti, può e deve amare anche le cose che Dio ha creato.

Da Dio le riceve: le vede come uscire dalle sue mani e le rispetta.

Di esse ringrazia il divino benefattore e, usando e godendo delle creature in spirito di povertà e di libertà, viene introdotto nel vero possesso del mondo, come qualcuno che non ha niente e che possiede tutto (65): «Tutto, infatti, è vostro: ma voi siete di Cristo e il Cristo è di Dio » (1Cor3,22).

38. L'attività umana elevata a perfezione nel mistero pasquale.

Il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, fattosi carne lui stesso e venuto ad abitare sulla terra degli uomini (66), entrò nella storia del mondo come uomo perfetto, assumendo questa e ricapitolandola in sé (67). Egli ci rivela « che Dio è carità » (1Gv4,8) e insieme ci insegna che la legge fondamentale della umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento dell'amore.

Coloro pertanto che credono alla carità divina, sono da lui resi certi che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani.

Così pure egli ammonisce a non camminare sulla strada della carità solamente nelle grandi cose, bensì e soprattutto nelle circostanze ordinarie della vita.

Accettando di morire per noi tutti peccatori (68), egli ci insegna con il suo esempio che è necessario anche portare quella croce che dalla carne e dal mondo viene messa sulle spalle di quanti cercano la pace e la giustizia. Con la sua risurrezione costituito Signore, egli, il Cristo cui è stato dato ogni potere in cielo e in terra (69), agisce ora nel cuore degli uomini con la virtù del suo Spirito; non solo suscita il desiderio del mondo futuro, ma con ciò stesso ispira anche, purifica e fortifica quei generosi propositi con i quali la famiglia degli uomini cerca di rendere più umana la propria vita e di sottomettere a questo fine tutta la terra.

Ma i doni dello Spirito sono vari: alcuni li chiama a dare testimonianza manifesta al desiderio della dimora celeste, contribuendo così a mantenerlo vivo nell'umanità; altri li chiama a consacrarsi al servizio terreno degli uomini, così da preparare-attraverso tale loro ministero quasi la materia per il regno dei cieli. Di tutti, però, fa degli uomini liberi, in quanto nel rinnegamento dell'egoismo e convogliando tutte le forze terrene verso la vita umana, essi si proiettano nel futuro, quando l'umanità stessa diventerà offerta accetta a Dio (70).

Un pegno di questa speranza e un alimento per il cammino il Signore lo ha lasciato ai suoi in quel sacramento della fede nel quale degli elementi naturali coltivati dall'uomo vengono trasmutati nel Corpo e nel Sangue glorioso di lui, in un banchetto di comunione fraterna che è pregustazione del convito del cielo.

39. Terra nuova e cielo nuovo.

Ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l'umanità (71) e non sappiamo in che modo sarà trasformato l'universo. Passa certamente l'aspetto di questo mondo, deformato dal peccato (72). Sappiamo però dalla Rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia (73), e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini (74).

Allora, vinta la morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo, e ciò che fu seminato in infermità e corruzione rivestirà l'incorruttibilità (75); resterà la carità coi suoi frutti (76), e sarà liberata dalla schiavitù della vanità (77) tutta quella realtà che Dio ha creato appunto per l'uomo.

Certo, siamo avvertiti che niente giova all'uomo se guadagna il mondo intero ma perde se stesso (78). Tuttavia l'attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo della umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione, che adombra il mondo nuovo.

Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia, tale progresso, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l'umana società, è di grande importanza per il regno di Dio (79). Ed infatti quei valori, quali la dignità dell'uomo, la comunione fraterna e la libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando il Cristo rimetterà al Padre « il regno eterno ed universale: che è regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace » (80).

Qui sulla terra il regno è già presente, in mistero; ma con la venuta del Signore, giungerà a perfezione.

CAPITOLO IV

LA MISSIONE DELLA CHIESA NEL MONDO CONTEMPORANEO

40. Mutua relazione tra Chiesa e mondo.

Tutto quello che abbiamo detto a proposito della dignità della persona umana, della comunità degli uomini, del significato profondo della attività umana, costituisce il fondamento del rapporto tra Chiesa e mondo, come pure la base del dialogo fra loro (81).

In questo capitolo, pertanto, presupponendo tutto ciò che il Concilio ha già insegnato circa il mistero della Chiesa, si viene a prendere in considerazione la medesima Chiesa in quanto si trova nel mondo e insieme con esso vive ed agisce.

La Chiesa, procedendo dall'amore dell'eterno Padre (82), fondata nel tempo dal Cristo redentore, radunata nello Spirito Santo (83), ha una finalità salvifica ed escatologica che non può essere raggiunta pienamente se non nel mondo futuro. Ma essa è già presente qui sulla terra, ed è composta da uomini, i quali appunto sono membri della città terrena chiamati a formare già nella storia dell'umanità la famiglia dei figli di Dio, che deve crescere costantemente fino all'avvento del Signore. Unita in vista dei beni celesti e da essi arricchita, tale famiglia fu da Cristo « costituita e ordinata come società in questo mondo » (84) e fornita di « mezzi capaci di assicurare la sua unione visibile e sociale » (85). Perciò la Chiesa, che è insieme « società visibile e comunità spirituale » (86) cammina insieme con l'umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena; essa è come il fermento e quasi l'anima della società umana (87), destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio. Tale compenetrazione di città terrena e città celeste non può certo essere percepita se non con la fede; resta, anzi, il mistero della storia umana, che è turbata dal peccato fino alla piena manifestazione dello splendore dei figli di Dio.

Ma la Chiesa, perseguendo il suo proprio fine di salvezza, non solo comunica all'uomo la vita divina; essa diffonde anche in qualche modo sopra tutto il mondo la luce che questa vita divina irradia, e lo fa specialmente per il fatto che risana ed eleva la dignità della persona umana, consolida la compagine della umana società e conferisce al lavoro quotidiano degli uomini un più profondo senso e significato. Così la Chiesa, con i singoli suoi membri e con tutta intera la sua comunità, crede di poter contribuire molto a umanizzare di più la famiglia degli uomini e la sua storia.

Inoltre la Chiesa cattolica volentieri tiene in gran conto il contributo che, per realizzare il medesimo compito, han dato e danno, cooperando insieme, le altre Chiese o comunità ecclesiali.

Al tempo stesso essa è persuasa che, per preparare le vie al Vangelo, il mondo può fornirle in vario modo un aiuto prezioso mediante le qualità e l'attività dei singoli o delle società che lo compongono. Allo scopo di promuovere debitamente tale mutuo scambio ed aiuto, nei campi che in qualche modo sono comuni alla Chiesa e al mondo, vengono qui esposti alcuni principi generali.

41. L'aiuto che la Chiesa intende offrire agli individui.

L'uomo d'oggi procede sulla strada di un più pieno sviluppo della sua personalità e di una progressiva scoperta e affermazione dei propri diritti. Poiché la Chiesa ha ricevuto la missione di manifestare il mistero di Dio, il quale è il fine ultimo dell'uomo, essa al tempo stesso svela all'uomo il senso della sua propria esistenza, vale a dire la verità profonda sull'uomo.

Essa sa bene che soltanto Dio, al cui servizio è dedita, dà risposta ai più profondi desideri del cuore umano, che mai può essere pienamente saziato dagli elementi terreni.

Sa ancora che l'uomo, sollecitato incessantemente dallo Spirito di Dio, non potrà mai essere del tutto indifferente davanti al problema religioso, come dimostrano non solo l'esperienza dei secoli passati, ma anche molteplici testimonianze dei tempi nostri.

L'uomo, infatti, avrà sempre desiderio di sapere, almeno confusamente, quale sia il significato della sua vita, della sua attività e della sua morte. E la Chiesa, con la sua sola presenza nel mondo, gli richiama alla mente questi problemi. Ma soltanto Dio, che ha creato l'uomo a sua immagine e che lo ha redento dal peccato, può offrire a tali problemi una risposta pienamente adeguata; cose che egli fa per mezzo della rivelazione compiuta nel Cristo, Figlio suo, che si è fatto uomo.

Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, diventa anch'egli più uomo.

Partendo da questa fede, la Chiesa può sottrarre la dignità della natura umana al fluttuare di tutte le opinioni che, per esempio, abbassano troppo il corpo umano, oppure lo esaltano troppo.

Nessuna legge umana è in grado di assicurare la dignità personale e la libertà dell'uomo, quanto il Vangelo di Cristo, affidato alla Chiesa.

Questo Vangelo, infatti, annunzia e proclama la libertà dei figli di Dio, respinge ogni schiavitù che deriva in ultima analisi dal peccato (88) onora come sacra la dignità della coscienza e la sua libera decisione, ammonisce senza posa a raddoppiare tutti i talenti umani a servizio di Dio e per il bene degli uomini, infine raccomanda tutti alla carità di tutti (89).

Ciò corrisponde alla legge fondamentale della economia cristiana.

Benché, infatti, i1 Dio Salvatore e il Dio Creatore siano sempre lo stesso Dio, e così pure si identifichino il Signore della storia umana e il Signore della storia della salvezza, tuttavia in questo stesso ordine divino la giusta autonomia della creatura, specialmente dell'uomo, lungi dall'essere soppressa, viene piuttosto restituita alla sua dignità e in essa consolidata.

Perciò la Chiesa, in forza del Vangelo affidatole, proclama i diritti umani, e riconosce e apprezza molto il dinamismo con cui ai giorni nostri tali diritti vengono promossi ovunque.

Questo movimento tuttavia deve essere impregnato dallo spirito del Vangelo e dev'essere protetto contro ogni specie di falsa autonomia.

Siamo, infatti, esposti alla tentazione di pensare che i nostri diritti personali sono pienamente salvi solo quando veniamo sciolti da ogni norma di legge divina.

Ma per questa strada la dignità della persona umana non si salva e va piuttosto perduta.

42. L'aiuto che la Chiesa intende dare alla società umana.

L'unione della famiglia umana viene molto rafforzata e completata dall'unità della famiglia dei figli di Dio, fondata sul Cristo (90). Certo, la missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è d'ordine politico, economico o sociale: il fine, infatti, che le ha prefisso è d'ordine religioso (91).

Eppure proprio da questa missione religiosa scaturiscono compiti, luce e forze, che possono contribuire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la legge divina.

Così pure, dove fosse necessario, a seconda delle circostanze di tempo e di luogo, anch'essa può, anzi deve suscitare opere destinate al servizio di tutti, ma specialmente dei bisognosi, come, per esempio, opere di misericordia e altre simili.

La Chiesa, inoltre, riconosce tutto ciò che di buono si trova nel dinamismo sociale odierno, soprattutto il movimento verso l'unità, il progresso di una sana socializzazione e della solidarietà civile ed economica. Promuovere l'unità corrisponde infatti alla intima missione della Chiesa, la quale è appunto « in Cristo quasi un sacramento, ossia segno e strumento di intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (92). Così essa mostra al mondo che una vera unione sociale esteriore discende dalla unione delle menti e dei cuori, ossia da quella fede e da quella carità, con cui la sua unità è stata indissolubilmente fondata nello Spirito Santo.

Infatti, la forza che la Chiesa riesce a immettere nella società umana contemporanea consiste in quella fede e carità effettivamente vissute, e non in una qualche sovranità esteriore esercitata con mezzi puramente umani. Inoltre, siccome in forza della sua missione e della sua natura non è legata ad alcuna particolare forma di cultura umana o sistema politico, economico, o sociale, la Chiesa per questa sua universalità può costituire un legame strettissimo tra le diverse comunità umane e nazioni, purché queste abbiano fiducia in lei e le riconoscano di fatto una vera libertà per il compimento della sua missione. Per questo motivo la Chiesa esorta i suoi figli, come pure tutti gli uomini, a superare, in questo spirito di famiglia proprio dei figli di Dio, ogni dissenso tra nazioni e razze, e a consolidare interiormente le legittime associazioni umane. Il Concilio, dunque, considera con grande rispetto tutto ciò che di vero, di buono e di giusto si trova nelle istituzioni, pur così diverse, che la umanità si è creata e continua a crearsi. Dichiara inoltre che la Chiesa vuole aiutare e promuovere tutte queste istituzioni, per quanto ciò dipende da lei ed è compatibile con la sua missione.

Niente le sta più a cuore che di servire al bene di tutti e di potersi liberamente sviluppare sotto qualsiasi regime che rispetti i diritti fondamentali della persona e della famiglia e riconosca le esigenze del bene comune.

43. L'aiuto che la Chiesa intende dare all'attività umana per mezzo dei cristiani.

Il Concilio esorta i cristiani, cittadini dell'una e dell'altra città, di sforzarsi di compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo.

Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura (93), pensano che per questo possono trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno (94).

A loro volta non sono meno in errore coloro che pensano di potersi immergere talmente nelle attività terrene, come se queste fossero del tutto estranee alla vita religiosa, la quale consisterebbe, secondo loro, esclusivamente in atti di culto e in alcuni doveri morali.

La dissociazione, che si costata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverata tra i più gravi errori del nostro tempo.

Contro questo scandalo (95) già nell'Antico Testamento elevavano con veemenza i loro rimproveri i profeti e ancora di più Gesù Cristo stesso, nel Nuovo Testamento, minacciava gravi castighi (96).

Non si crei perciò un'opposizione artificiale tra le attività professionali e sociali da una parte, e la vita religiosa dall'altra. Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna.

Gioiscano piuttosto i cristiani, seguendo l'esempio di Cristo che fu un artigiano, di poter esplicare tutte le loro attività terrene unificando gli sforzi umani, domestici, professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato a gloria di Dio. Ai laici spettano propriamente, anche se non esclusivamente, gli impegni e le attività temporali. Quando essi, dunque, agiscono quali cittadini del mondo, sia individualmente sia associati, non solo rispetteranno le leggi proprie di ciascuna disciplina, ma si sforzeranno di acquistare una vera perizia in quei campi. Daranno volentieri la loro cooperazione a quanti mirano a identiche finalità. Nel rispetto delle esigenze della fede e ripieni della sua forza, escogitino senza tregua nuove iniziative, ove occorra, e ne assicurino la realizzazione.

Spetta alla loro coscienza, già convenientemente formata, di inscrivere la legge divina nella vita della città terrena. Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale.

Non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che, ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta, o che proprio a questo li chiami la loro missione; assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del Magistero (97).

Per lo più sarà la stessa visione cristiana della realtà che li orienterà, in certe circostanze, a una determinata soluzione. Tuttavia, altri fedeli altrettanto sinceramente potranno esprimere un giudizio diverso sulla medesima questione, come succede abbastanza spesso e legittimamente.

Ché se le soluzioni proposte da un lato o dall'altro, anche oltre le intenzioni delle parti, vengono facilmente da molti collegate con il messaggio evangelico, in tali casi ricordino essi che nessuno ha il diritto di rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l'autorità della Chiesa.

Invece cerchino sempre di illuminarsi vicendevolmente attraverso un dialogo sincero, mantenendo sempre la mutua carità e avendo cura in primo luogo del bene comune.

I laici, che hanno responsabilità attive dentro tutta la vita della Chiesa, non solo son tenuti a procurare l'animazione del mondo con lo spirito cristiano, ma sono chiamati anche ad essere testimoni di Cristo in ogni circostanza e anche in mezzo alla comunità umana.

I vescovi, poi, cui è affidato l'incarico di reggere la Chiesa di Dio, devono insieme con i loro preti predicare il messaggio di Cristo in modo tale che tutte le attività terrene dei fedeli siano pervase dalla luce del Vangelo.

Inoltre i pastori tutti ricordino che essi con la loro quotidiana condotta e con la loro sollecitudine (98) mostrano al mondo un volto della Chiesa, in base al quale gli uomini si fanno un giudizio sulla efficacia e sulla verità del messaggio cristiano. Con la vita e con la parola, uniti ai religiosi e ai loro fedeli, dimostrino che la Chiesa, già con la sola sua presenza, con tutti i doni che contiene, è sorgente inesauribile di quelle forze di cui ha assoluto bisogno il mondo moderno.

Con lo studio assiduo si rendano capaci di assumere la propria responsabilità nel dialogo col mondo e con gli uomini di qualsiasi opinione.

Soprattutto però abbiano in mente le parole di questo Concilio: « Siccome oggi l'umanità va sempre più organizzandosi in unità civile, economica e sociale, è tanto più necessario che i sacerdoti, unendo sforzi e mezzi sotto la guida dei vescovi e del sommo Pontefice, eliminino ogni motivo di dispersione, affinché tutto il genere umano sia ricondotto all'unità della famiglia di Dio » (99).

Benché la Chiesa, per la virtù dello Spirito Santo, sia rimasta la sposa fedele del suo Signore e non abbia mai cessato di essere segno di salvezza nel mondo, essa tuttavia non ignora affatto che tra i suoi membri sia chierici che laici (100), nel corso della sua lunga storia, non sono mancati di quelli che non furono fedeli allo Spirito di Dio.

E anche ai nostri giorni sa bene la Chiesa quanto distanti siano tra loro il messaggio ch'essa reca e l'umana debolezza di coloro cui è affidato il Vangelo. Qualunque sia il giudizio che la storia dà di tali difetti, noi dobbiamo esserne consapevoli e combatterli con forza, perché non ne abbia danno la diffusione del Vangelo. Così pure la Chiesa sa bene quanto essa debba continuamente maturare imparando dall'esperienza di secoli, nel modo di realizzare i suoi rapporti col mondo.

Guidata dallo Spirito Santo, la madre Chiesa non si stancherà di «esortare i suoi figli a purificarsi e a rinnovarsi, perché il segno di Cristo risplenda ancor più chiaramente sul volto della Chiesa» (101).

44. L'aiuto che la Chiesa riceve dal mondo contemporaneo.

Come è importante per il mondo che esso riconosca la Chiesa quale realtà sociale della storia e suo fermento, così pure la Chiesa non ignora quanto essa abbia ricevuto dalla storia e dall'evoluzione del genere umano. L'esperienza dei secoli passati, il progresso della scienza, i tesori nascosti nelle varie forme di cultura umana, attraverso cui si svela più appieno la natura stessa dell'uomo e si aprono nuove vie verso la verità, tutto ciò è di vantaggio anche per la Chiesa.

Essa, infatti, fin dagli inizi della sua storia, imparò ad esprimere il messaggio di Cristo ricorrendo ai concetti e alle lingue dei diversi popoli; inoltre si sforzò di illustrarlo con la sapienza dei filosofi: e ciò allo scopo di adattare il Vangelo, nei limiti convenienti, sia alla comprensione di tutti, sia alle esigenze dei sapienti. E tale adattamento della predicazione della parola rivelata deve rimanere la legge di ogni evangelizzazione. Così, infatti, viene sollecitata in ogni popolo la capacità di esprimere secondo il modo proprio il messaggio di Cristo, e al tempo stesso viene promosso uno scambio vitale tra la Chiesa e le diverse culture dei popoli (102). Allo scopo di accrescere tale scambio, oggi soprattutto, che i cambiamenti sono così rapidi e tanto vari i modi di pensare, la Chiesa ha bisogno particolare dell'apporto di coloro che, vivendo nel mondo, ne conoscono le diverse istituzioni e discipline e ne capiscono la mentalità, si tratti di credenti o di non credenti.

È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l'aiuto dello Spirito Santo, ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta.

La Chiesa, avendo una struttura sociale visibile, che è appunto segno della sua unità in Cristo, può essere arricchita, e lo è effettivamente, dallo sviluppo della vita sociale umana non perché manchi qualcosa nella costituzione datale da Cristo, ma per conoscere questa più profondamente, per meglio esprimerla e per adattarla con più successo ai nostri tempi.

Essa sente con gratitudine di ricevere, nella sua comunità non meno che nei suoi figli singoli, vari aiuti dagli uomini di qualsiasi grado e condizione.

Chiunque promuove la comunità umana nell'ordine della famiglia, della cultura, della vita economica e sociale, come pure della politica, sia nazionale che internazionale, porta anche non poco aiuto, secondo il disegno di Dio, alla comunità della Chiesa, nella misura in cui questa dipende da fattori esterni.

Anzi, la Chiesa confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire perfino dall'opposizione di quanti la avversano o la perseguitano (103).

45. Cristo, l'alfa e l'omega.

La Chiesa, nel dare aiuto al mondo come nel ricevere molto da esso, ha di mira un solo fine: che venga il regno di Dio e si realizzi la salvezza dell'intera umanità. Tutto ciò che di bene il popolo di Dio può offrire all'umana famiglia, nel tempo del suo pellegrinaggio terreno, scaturisce dal fatto che la Chiesa è «l'universale sacramento della salvezza» (104) che svela e insieme realizza il mistero dell'amore di Dio verso l'uomo. Infatti il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, si è fatto egli stesso carne, per operare, lui, l'uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale. Il Signore è il fine della storia umana, « il punto focale dei desideri della storia e della civiltà », il centro del genere umano, la gioia d'ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni (105). Egli è colui che il Padre ha risuscitato da morte, ha esaltato e collocato alla sua destra, costituendolo giudice dei vivi e dei morti. Vivificati e radunati nel suo Spirito, come pellegrini andiamo incontro alla finale perfezione della storia umana, che corrisponde in pieno al disegno del suo amore: « Ricapitolare tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra » (Ef 1,10). Dice il Signore stesso: « Ecco, io vengo presto, e porto con me il premio, per retribuire ciascuno secondo le opere sue. Io sono l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo, il principio e il fine» (Ap 22,12-13).


PARTE II

ALCUNI PROBLEMI PIÙ URGENTI

46. Proemio

Dopo aver esposto di quale dignità è insignita la persona dell'uomo e quale compito, individuale e sociale, egli è chiamato ad adempiere sulla terra, il Concilio, alla luce del Vangelo e dell'esperienza umana, attira ora l'attenzione di tutti su alcuni problemi contemporanei particolarmente urgenti, che toccano in modo specialissimo il genere umano. Tra le numerose questioni che oggi destano l'interesse generale, queste meritano particolare menzione: il matrimonio e la famiglia, la cultura umana, la vita economico-sociale, la vita politica, la solidarietà tra le nazioni e la pace. Sopra ciascuna di esse risplendano i principi e la luce che provengono da Cristo; così i cristiani avranno una guida e tutti gli uomini potranno essere illuminati nella ricerca delle soluzioni di problemi tanto numerosi e complessi.

CAPITOLO I

DIGNITÀ DEL MATRIMONIO E DELLA FAMIGLIA E SUA VALORIZZAZIONE

47. Matrimonio e famiglia nel mondo d'oggi

Il bene della persona e della società umana e cristiana è strettamente connesso con una felice situazione della comunità coniugale e familiare. Perciò i cristiani, assieme con quanti hanno alta stima di questa comunità, si rallegrano sinceramente dei vari sussidi, con i quali gli uomini favoriscono oggi la formazione di questa comunità di amore e la stima ed il rispetto della vita: sussidi che sono di aiuto a coniugi e genitori della loro eminente missione; da essi i cristiani attendono sempre migliori vantaggi e si sforzano di promuoverli.

Però la dignità di questa istituzione non brilla dappertutto con identica chiarezza poiché è oscurata dalla poligamia, dalla piaga del divorzio, dal cosiddetto libero amore e da altre deformazioni. Per di più l'amore coniugale è molto spesso profanato dall'egoismo, dall'edonismo e da pratiche illecite contro la fecondità. Inoltre le odierne condizioni economiche, socio-psicologiche e civili portano turbamenti non lievi nella vita familiare. E per ultimo in determinate parti del mondo si avvertono non senza preoccupazioni i problemi posti dall'incremento demografico. Da tutto ciò sorgono difficoltà che angustiano la coscienza. Tuttavia il valore e la solidità dell'istituto matrimoniale e familiare prendono risalto dal fatto che le profonde mutazioni dell'odierna società, nonostante le difficoltà che ne scaturiscono, molto spesso rendono manifesta in maniere diverse la vera natura di questa istituzione.

Perciò il Concilio, mettendo in chiara luce alcuni punti capitali della dottrina della Chiesa, si propone di illuminare e incoraggiare i cristiani e tutti gli uomini che si sforzano di salvaguardare e promuovere la dignità naturale e l'altissimo valore sacro dello stato matrimoniale.

48. Santità del matrimonio e della famiglia

L'intima comunità di vita e d'amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dall'alleanza dei coniugi, vale a dire dall'irrevocabile consenso personale. E così, è dall'atto umano col quale i coniugi mutuamente si danno e si ricevono, che nasce, anche davanti alla società, l'istituzione del matrimonio, che ha stabilità per ordinamento divino. In vista del bene dei coniugi, della prole e anche della società, questo legame sacro non dipende dall'arbitrio dell'uomo . Perché è Dio stesso l'autore del matrimonio, dotato di molteplici valori e fini (106): tutto ciò è di somma importanza per la continuità del genere umano, il progresso personale e la sorte eterna di ciascuno dei membri della famiglia, per la dignità, la stabilità, la pace e la prosperità della stessa famiglia e di tutta la società umana.

Per la sua stessa natura l'istituto del matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento. E così l'uomo e la donna, che per l'alleanza coniugale « non sono più due, ma una sola carne » (Mt 19,6), prestandosi un mutuo aiuto e servizio con l'intima unione delle persone e delle attività, esperimentano il senso della propria unità e sempre più pienamente la conseguono.

Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l'indissolubile unità (107).

Cristo Signore ha effuso l'abbondanza delle sue benedizioni su questo amore dai molteplici aspetti, sgorgato dalla fonte della divina carità e strutturato sul modello della sua unione con la Chiesa. Infatti, come un tempo Dio ha preso l'iniziativa di un'alleanza di amore e fedeltà (108) con il suo popolo cosi ora il Salvatore degli uomini e sposo della Chiesa (109) viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del matrimonio. Inoltre rimane con loro perché, come egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per essa (110) così anche i coniugi possano amarsi l'un l'altro fedelmente, per sempre, con mutua dedizione. L'autentico amore coniugale è assunto nell'amore divino ed è sostenuto e arricchito dalla forza redentiva del Cristo e dalla azione salvifica della Chiesa, perché i coniugi in maniera efficace siano condotti a Dio e siano aiutati e rafforzati nello svolgimento della sublime missione di padre e madre (111). Per questo motivo i coniugi cristiani sono fortificati e quasi consacrati da uno speciale sacramento (112) per i doveri e la dignità del loro stato. Ed essi, compiendo con la forza di tale sacramento il loro dovere coniugale e familiare, penetrati dello spirito di Cristo, per mezzo del quale tutta la loro vita è pervasa di fede, speranza e carità, tendono a raggiungere sempre più la propria perfezione e la mutua santificazione, ed assieme rendono gloria a Dio.

Prevenuti dall'esempio e dalla preghiera comune dei genitori, i figli, anzi tutti quelli che vivono insieme nell'ambito familiare, troveranno più facilmente la strada di una formazione veramente umana, della salvezza e della santità.

Quanto agli sposi, insigniti della dignità e responsabilità di padre e madre, adempiranno diligentemente il dovere dell'educazione, soprattutto religiosa, che spetta loro prima che a chiunque altro.

I figli, come membra vive della famiglia, contribuiscono pure in qualche modo alla santificazione dei genitori. Risponderanno, infatti, ai benefici ricevuti dai genitori con affetto riconoscente, con pietà filiale e fiducia; e li assisteranno, come si conviene a figli, nelle avversità della vita e nella solitudine della vecchiaia. La vedovanza, accettata con coraggio come continuazione della vocazione coniugale sia onorata da tutti (113). La famiglia metterà con generosità in comune con le altre famiglie le proprie ricchezze spirituali. Allora la famiglia cristiana che nasce dal matrimonio, come immagine e partecipazione dell'alleanza d'amore del Cristo e della Chiesa (114) renderà manifesta a tutti la viva presenza del Salvatore nel mondo e la genuina natura della Chiesa, sia con l'amore, la fecondità generosa, l'unità e la fedeltà degli sposi, che con l'amorevole cooperazione di tutti i suoi membri.

49. L'amore coniugale

I fidanzati sono ripetutamente invitati dalla parola di Dio a nutrire e potenziare il loro fidanzamento con un amore casto, e gli sposi la loro unione matrimoniale con un affetto senza incrinature (115). Anche molti nostri contemporanei annettono un grande valore al vero amore tra marito e moglie, che si manifesta in espressioni diverse a seconda dei sani costumi dei popoli e dei tempi. Proprio perché atto eminentemente umano, essendo diretto da persona a persona con un sentimento che nasce dalla volontà, quell'amore abbraccia il bene di tutta la persona; perciò ha la possibilità di arricchire di particolare dignità le espressioni del corpo e della vita psichica e di nobilitarle come elementi e segni speciali dell'amicizia coniugale.

Il Signore si è degnato di sanare, perfezionare ed elevare questo amore con uno speciale dono di grazia e carità. Un tale amore, unendo assieme valori umani e divini, conduce gli sposi al libero e mutuo dono di se stessi, che si esprime mediante sentimenti e gesti di tenerezza e pervade tutta quanta la vita dei coniugi (116) anzi, diventa più perfetto e cresce proprio mediante il generoso suo esercizio. È ben superiore, perciò, alla pura attrattiva erotica che, egoisticamente coltivata, presto e miseramente svanisce.

Questo amore è espresso e sviluppato in maniera tutta particolare dall'esercizio degli atti che sono propri del matrimonio. Ne consegue che gli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità sono onesti e degni; compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano ed arricchiscono vicendevolmente nella gioia e nella gratitudine gli sposi stessi. Quest'amore, ratificato da un impegno mutuo e soprattutto consacrato da un sacramento di Cristo, resta indissolubilmente fedele nella prospera e cattiva sorte, sul piano del corpo e dello spirito; di conseguenza esclude ogni adulterio e ogni divorzio. L'unità del matrimonio, confermata dal Signore, appare in maniera lampante anche dalla uguale dignità personale che bisogna riconoscere sia all'uomo che alla donna nel mutuo e pieno amore.

Per tener fede costantemente agli impegni di questa vocazione cristiana si richiede una virtù fuori del comune; è per questo che i coniugi, resi forti dalla grazia per una vita santa, coltiveranno assiduamente la fermezza dell'amore, la grandezza d'animo, lo spirito di sacrificio e li domanderanno nella loro preghiera. Ma l'autentico amore coniugale godrà più alta stima e si formerà al riguardo una sana opinione pubblica, se i coniugi cristiani danno testimonianza di fedeltà e di armonia nell'amore come anche di sollecitudine nell'educazione dei figli, e se assumono la loro responsabilità nel necessario rinnovamento culturale, psicologico e sociale a favore del matrimonio e della famiglia.

I giovani siano adeguatamente istruiti, molto meglio se in seno alla propria famiglia, sulla dignità dell'amore coniugale, sulla sua funzione e le sue espressioni; così che, formati nella stima della castità, possano ad età conveniente passare da un onesto fidanzamento alle nozze.

50. La fecondità del matrimonio

Il matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione ed educazione della prole. I figli infatti sono il dono più eccellente del matrimonio e contribuiscono grandemente al bene dei genitori stessi. Dio che disse: « non è bene che l'uomo sia solo» (Gn 2,18) e «che creò all'inizio l'uomo maschio e femmina » (Mt 19,4), volendo comunicare all'uomo una speciale partecipazione nella sua opera creatrice, benedisse l'uomo e la donna, dicendo loro: «crescete e moltiplicatevi» (Gn 1,28). Di conseguenza un amore coniugale vero e ben compreso e tutta la struttura familiare che ne nasce tendono, senza trascurare gli altri fini del matrimonio, a rendere i coniugi disponibili a cooperare coraggiosamente con l'amore del Creatore e del Salvatore che attraverso di loro continuamente dilata e arricchisce la sua famiglia.

I coniugi sappiano di essere cooperatori dell'amore di Dio Creatore e quasi suoi interpreti nel compito di trasmettere la vita umana e di educarla; ciò deve essere considerato come missione loro propria.

E perciò adempiranno il loro dovere con umana e cristiana responsabilità e, con docile riverenza verso Dio, di comune accordo e con sforzo comune, si formeranno un retto giudizio: tenendo conto sia del proprio bene personale che di quello dei figli, tanto di quelli nati che di quelli che si prevede nasceranno; valutando le condizioni sia materiali che spirituali della loro epoca e del loro stato di vita; e, infine, tenendo conto del bene della comunità familiare, della società temporale e della Chiesa stessa. Questo giudizio in ultima analisi lo devono formulare, davanti a Dio, gli sposi stessi. Però nella loro linea di condotta i coniugi cristiani siano consapevoli che non possono procedere a loro arbitrio, ma devono sempre essere retti da una coscienza che sia con forme alla legge divina stessa; e siano docili al magistero della Chiesa, che interpreta in modo autentico quella legge alla luce del Vangelo.

Tale legge divina manifesta il significato pieno dell'amore coniugale, lo protegge e lo conduce verso la sua perfezione veramente umana.

Così quando gli sposi cristiani, fidando nella divina Provvidenza e coltivando lo spirito di sacrificio (117), svolgono il loro ruolo procreatore e si assumono generosamente le loro responsabilità umane e cristiane, glorificano il Creatore e tendono alla perfezione cristiana.

Tra i coniugi che in tal modo adempiono la missione loro affidata da Dio, sono da ricordare in modo particolare quelli che, con decisione prudente e di comune accordo, accettano con grande animo anche un più grande numero di figli da educare convenientemente (118).

Il matrimonio tuttavia non è stato istituito soltanto per la procreazione; il carattere stesso di alleanza indissolubile tra persone e il bene dei figli esigono che anche il mutuo amore dei coniugi abbia le sue giuste manifestazioni, si sviluppi e arrivi a maturità. E perciò anche se la prole, molto spesso tanto vivamente desiderata, non c'è, il matrimonio perdura come comunità e comunione di tutta la vita e conserva il suo valore e la sua indissolubilità.

51. Accordo dell'amore coniugale col rispetto della vita

Il Concilio sa che spesso i coniugi, che vogliono condurre armoniosamente la loro vita coniugale, sono ostacolati da alcune condizioni della vita di oggi, e possono trovare circostanze nelle quali non si può aumentare, almeno per un certo tempo, il numero dei figli; non senza difficoltà allora si può conservare la pratica di un amore fedele e la piena comunità di vita. Là dove, infatti, è interrotta l'intimità della vita coniugale, non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli: allora corrono pericolo anche l'educazione dei figli e il coraggio di accettarne altri.

C'è chi presume portare a questi problemi soluzioni non oneste, anzi non rifugge neppure dall'uccisione delle nuove vite. La Chiesa ricorda, invece, che non può esserci vera contraddizione tra le leggi divine, che reggono la trasmissione della vita, e quelle che favoriscono l'autentico amore coniugale.

Infatti Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l'altissima missione di proteggere la vita: missione che deve essere adempiuta in modo degno dell'uomo. Perciò la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; l'aborto e l'infanticidio sono delitti abominevoli. La sessualità propria dell'uomo e la facoltà umana di generare sono meravigliosamente superiori a quanto avviene negli stadi inferiori della vita; perciò anche gli atti specifici della vita coniugale, ordinati secondo la vera dignità umana, devono essere rispettati con grande stima. Perciò, quando si tratta di mettere d'accordo l'amore coniugale con la trasmissione responsabile della vita, il carattere morale del comportamento non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinato secondo criteri oggettivi, che hanno il loro fondamento nella dignità stessa della persona umana e dei suoi atti, criteri che rispettano, in un contesto di vero amore, il significato totale della mutua donazione e della procreazione umana; cosa che risulterà impossibile se non viene coltivata con sincero animo la virtù della castità coniugale. I figli della Chiesa, fondati su questi principi, nel regolare la procreazione, non potranno seguire strade che sono condannate dal Magistero nella spiegazione della legge divina (119). Del resto, tutti sappiamo che la vita dell'uomo e il compito di trasmetterla non sono limitati agli orizzonti di questo mondo e non vi trovano né la loro piena dimensione, né il loro pieno senso, ma riguardano il destino eterno degli uomini.

52. L'impegno di tutti per il bene del matrimonio e della famiglia

La famiglia è una scuola di arricchimento umano. Perché però possa attingere la pienezza della sua vita e del suo compimento, è necessaria una amorevole apertura vicendevole di animo tra i coniugi, e la consultazione reciproca e una continua collaborazione tra i genitori nella educazione dei figli. La presenza attiva del padre giova moltissimo alla loro formazione; ma bisogna anche permettere alla madre, di cui abbisognano specialmente i figli più piccoli, di prendersi cura del proprio focolare pur senza trascurare la legittima promozione sociale della donna. I figli poi, mediante l'educazione devono venire formati in modo che, giunti alla maturità, possano seguire con pieno senso di responsabilità la loro vocazione, compresa quella sacra; e se sceglieranno lo stato di vita coniugale, possano formare una propria famiglia in condizioni morali, sociali ed economiche favorevoli. È compito poi dei genitori o dei tutori guidare i più giovani nella formazione di una nuova famiglia con il consiglio prudente, presentato in modo che questi lo ascoltino volentieri; dovranno tuttavia evitare di esercitare forme di coercizione diretta o indiretta su di essi per spingerli al matrimonio o alla scelta di una determinata persona come coniuge.

In questo modo la famiglia, nella quale le diverse generazioni si incontrano e si aiutano vicendevolmente a raggiungere una saggezza umana più completa e ad armonizzare i diritti della persona con le altre esigenze della vita sociale, è veramente il fondamento della società. Tutti coloro che hanno influenza sulla società e sulle sue diverse categorie, quindi, devono collaborare efficacemente alla promozione del matrimonio e della famiglia; e le autorità civili dovranno considerare come un sacro dovere conoscere la loro vera natura, proteggerli e farli progredire, difendere la moralità pubblica e favorire la prosperità domestica. In particolare dovrà essere difeso il diritto dei genitori di generare la prole e di educarla in seno alla famiglia. Una provvida legislazione ed iniziative varie dovranno pure proteggere ed aiutare opportunamente coloro che sono purtroppo privi di una propria famiglia.

I cristiani, bene utilizzando il tempo presente (120) e distinguendo le realtà permanenti dalle forme mutevoli, si adoperino per sviluppare diligentemente i valori del matrimonio e della famiglia; lo faranno tanto con la testimonianza della propria vita, quanto con un'azione concorde con gli uomini di buona volontà. Così, superando le difficoltà presenti, essi provvederanno ai bisogni e agli interessi della famiglia, in accordo con i tempi nuovi. A questo fine sono di grande aiuto il senso cristiano dei fedeli, la retta coscienza morale degli uomini, come pure la saggezza e la competenza di chi è versato nelle discipline sacre.

Gli esperti nelle scienze, soprattutto biologiche, mediche, sociali e psicologiche, possono portare un grande contributo al bene del matrimonio e della famiglia e alla pace delle coscienze se, con l'apporto convergente dei loro studi, cercheranno di chiarire sempre più a fondo le diverse condizioni che favoriscono un'ordinata e onesta procreazione umana.

È compito dei sacerdoti, provvedendosi una necessaria competenza sui problemi della vita familiare, aiutare amorosamente la vocazione dei coniugi nella loro vita coniugale e familiare con i vari mezzi della pastorale, con la predicazione della parola di Dio, con il culto liturgico o altri aiuti spirituali, fortificarli con bontà e pazienza nelle loro difficoltà e confortarli con carità, perché si formino famiglie veramente serene.

Le varie opere di apostolato, specialmente i movimenti familiari, si adopereranno a sostenere con la dottrina e con l'azione i giovani e gli stessi sposi, particolarmente le nuove famiglie, ed a formarli alla vita familiare, sociale ed apostolica.

Infine i coniugi stessi, creati ad immagine del Dio vivente e muniti di un'autentica dignità personale, siano uniti da un uguale mutuo affetto, dallo stesso modo di sentire, da comune santità (121), cosi che, seguendo Cristo principio di vita (122) nelle gioie e nei sacrifici della loro vocazione, attraverso il loro amore fedele possano diventare testimoni di quel mistero di amore che il Signore ha rivelato al mondo con la sua morte e la sua risurrezione (123).

CAPITOLO II

LA PROMOZIONE DELLA CULTURA

53. Introduzione

È proprio della persona umana il non poter raggiungere un livello di vita veramente e pienamente umano se non mediante la cultura, coltivando cioè i beni e i valori della natura. Perciò, ogniqualvolta si tratta della vita umana, natura e cultura sono quanto mai strettamente connesse.

Con il termine generico di « cultura » si vogliono indicare tutti quei mezzi con i quali l'uomo affina e sviluppa le molteplici capacità della sua anima e del suo corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale, sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l'andar del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano.

Di conseguenza la cultura presenta necessariamente un aspetto storico e sociale e la voce « cultura » assume spesso un significato sociologico ed etnologico. In questo senso si parla di pluralità delle culture. Infatti dal diverso modo di far uso delle cose, di lavorare, di esprimersi, di praticare la religione e di formare i costumi, di fare le leggi e creare gli istituti giuridici, di sviluppare le scienze e le arti e di coltivare il bello, hanno origine i diversi stili di vita e le diverse scale di valori. Cosi dalle usanze tradizionali si forma il patrimonio proprio di ciascun gruppo umano. Così pure si costituisce l'ambiente storicamente definito in cui ogni uomo, di qualsiasi stirpe ed epoca, si inserisce, e da cui attinge i beni che gli consentono di promuovere la civiltà.

Sezione 1: La situazione della cultura nel mondo odierno

54. Nuovi stili di vita

Le condizioni di vita dell'uomo moderno, sotto l'aspetto sociale e culturale, sono profondamente cambiate, così che è lecito parlare di una nuova epoca della storia umana (124). Di qui si aprono nuove vie per perfezionare e diffondere più largamente la cultura. Esse sono state preparate da un grandioso sviluppo delle scienze naturali e umane, anche sociali, dal progresso delle tecniche, dallo sviluppo e dall'organizzazione degli strumenti di comunicazione sociale. Perciò la cultura odierna è caratterizzata da alcune note distintive: le scienze dette «esatte» affinano al massimo il senso critico; i più recenti studi di psicologia spiegano in profondità l'attività umana; le scienze storiche spingono fortemente a considerare le cose sotto l'aspetto della loro mutabilità ed evoluzione; i modi di vivere ed i costumi diventano sempre più uniformi; l'industrializzazione, l'urbanesimo e le altre cause che favoriscono la vita collettiva creano nuove forme di cultura (cultura di massa), da cui nascono nuovi modi di pensare, di agire, di impiegare il tempo libero; lo sviluppo dei rapporti fra le varie nazioni e le classi sociali rivela più ampiamente a tutti e a ciascuno i tesori delle diverse forme di cultura, e così poco a poco si prepara una forma di cultura umana più universale, la quale tanto più promuove ed esprime l'unità del genere umano, quanto meglio rispetta le particolarità delle diverse culture.

55. L'uomo artefice della cultura

Cresce sempre più il numero degli uomini e delle donne di ogni gruppo o nazione che prendono coscienza di essere artefici e promotori della cultura della propria comunità. In tutto il mondo si sviluppa sempre più il senso dell'autonomia e della responsabilità, cosa che è di somma importanza per la maturità spirituale e morale dell'umanità. Ciò appare ancor più chiaramente se teniamo presente l'unificazione del mondo e il compito che ci si impone di costruire un mondo migliore nella verità e nella giustizia. In tal modo siamo testimoni della nascita d'un nuovo umanesimo, in cui l'uomo si definisce anzitutto per la sua responsabilità verso i suoi fratelli e verso la storia.

56. Difficoltà e compiti

In queste condizioni non stupisce che l'uomo sentendosi responsabile del progresso della cultura, nutra grandi speranze, ma consideri pure con ansietà le molteplici antinomie esistenti ch'egli deve risolvere. Che cosa si deve fare affinché gli intensificati rapporti culturali, che dovrebbero condurre ad un vero e fruttuoso dialogo tra classi e nazioni diverse, non turbino la vita delle comunità, né sovvertano la sapienza dei padri, né mettano in pericolo il carattere proprio di ciascun popolo?

In qual modo promuovere il dinamismo e l'espansione della nuova cultura senza che si perda la viva fedeltà al patrimonio della tradizione? Questo problema si pone con particolare urgenza là dove la cultura, che nasce dal grande sviluppo scientifico e tecnico, si deve armonizzare con la cultura che, secondo le varie tradizioni, viene alimentata dagli studi classici.

In qual maniera conciliare una così rapida e crescente diversificazione delle scienze specializzate, con la necessità di farne la sintesi e di mantenere nell'uomo le facoltà della contemplazione e dell'ammirazione che conducono alla sapienza?

Che cosa fare affinché le moltitudini siano rese partecipi dei beni della cultura, proprio quando la cultura degli specialisti diviene sempre più alta e complessa?

Come, infine, riconoscere come legittima l'autonomia che la cultura rivendica a se stessa, senza giungere a un umanesimo puramente terrestre, anzi avverso alla religione?

In mezzo a queste antinomie, la cultura umana va oggi sviluppata in modo da perfezionare con giusto ordine la persona umana nella sua integrità e da aiutare gli uomini nell'esplicazione di quei compiti, al cui adempimento tutti, ma specialmente i cristiani fraternamente uniti in seno all'unica famiglia umana, sono chiamati.

Sezione 2: Alcuni principi riguardanti la retta promozione della cultura

57. Fede e cultura

I cristiani, in cammino verso la città celeste, devono ricercare e gustare le cose di lassù (125) questo tuttavia non diminuisce, anzi aumenta l'importanza del loro dovere di collaborare con tutti gli uomini per la costruzione di un mondo più umano. E in verità il mistero della fede cristiana offre loro eccellenti stimoli e aiuti per assolvere con maggiore impegno questo compito e specialmente per scoprire il pieno significato di quest'attività, mediante la quale la cultura umana acquista un posto importante nella vocazione integrale dell'uomo.

L'uomo infatti, quando coltiva la terra col lavoro delle sue braccia o con l'aiuto della tecnica, affinché essa produca frutto e diventi una dimora degna di tutta la famiglia umana, e quando partecipa consapevolmente alla vita dei gruppi sociali, attua il disegno di Dio, manifestato all'inizio dei tempi, di assoggettare la terra (126) e di perfezionare la creazione, e coltiva se stesso; nel medesimo tempo mette in pratica il grande comandamento di Cristo di prodigarsi al servizio dei fratelli.

L'uomo inoltre, applicandosi allo studio delle varie discipline, quali la filosofia, la storia, la matematica, le scienze naturali, e coltivando l'arte, può contribuire moltissimo ad elevare l'umana famiglia a più alti concetti del vero, del bene e del bello e a una visione delle cose di universale valore; in tal modo essa sarà più vivamente illuminata da quella mirabile Sapienza, che dall'eternità era con Dio, disponendo con lui ogni cosa, giocando sull'orbe terrestre e trovando le sue delizie nello stare con i figli degli uomini (127).

Per ciò stesso lo spirito umano, più libero dalla schiavitù delle cose, può innalzarsi con maggiore speditezza al culto ed alla contemplazione del Creatore. Anzi, sotto l'impulso della grazia si dispone a riconoscere il Verbo di Dio che, prima di farsi carne per tutto salvare e ricapitolare in se stesso, già era « nel mondo » come « luce vera che illumina ogni uomo » (Gv 1,9) (128).

Certo, l'odierno progresso delle scienze e della tecnica, che in forza del loro metodo non possono penetrare nelle intime ragioni delle cose, può favorire un certo fenomenismo e agnosticismo, quando il metodo di investigazione di cui fanno uso queste scienze viene a torto innalzato a norma suprema di ricerca della verità totale. Anzi, vi è il pericolo che l'uomo, fidandosi troppo delle odierne scoperte, pensi di bastare a se stesso e non cerchi più valori superiori.

Questi fatti deplorevoli però non scaturiscono necessariamente dalla odierna cultura, né debbono indurci nella tentazione di non riconoscere i suoi valori positivi. Fra questi si annoverano: il gusto per le scienze e la rigorosa fedeltà al vero nella indagine scientifica, la necessità di collaborare con gli altri nei gruppi tecnici specializzati, il senso della solidarietà internazionale, la coscienza sempre più viva della responsabilità degli esperti nell'aiutare e proteggere gli uomini, la volontà di rendere più felici le condizioni di vita per tutti, specialmente per coloro che soffrono per la privazione della responsabilità personale o per la povertà culturale. Tutti questi valori possono essere in qualche modo una preparazione a ricevere l'annunzio del Vangelo; preparazione che potrà essere portata a compimento dalla divina carità di colui che è venuto a salvare il mondo.

58. I molteplici rapporti fra il Vangelo di Cristo e la cultura

Fra il messaggio della salvezza e la cultura esistono molteplici rapporti. Dio infatti, rivelandosi al suo popolo fino alla piena manifestazione di sé nel Figlio incarnato, ha parlato secondo il tipo di cultura proprio delle diverse epoche storiche.

Parimenti la Chiesa, che ha conosciuto nel corso dei secoli condizioni d'esistenza diverse, si è servita delle differenti culture per diffondere e spiegare nella sua predicazione il messaggio di Cristo a tutte le genti, per studiarlo ed approfondirlo, per meglio esprimerlo nella vita liturgica e nella vita della multiforme comunità dei fedeli.

Ma nello stesso tempo, inviata a tutti i popoli di qualsiasi tempo e di qualsiasi luogo (129), non è legata in modo esclusivo e indissolubile a nessuna razza o nazione, a nessun particolare modo di vivere, a nessuna consuetudine antica o recente. Fedele alla propria tradizione e nello stesso tempo cosciente dell'universalità della sua missione (130), può entrare in comunione con le diverse forme di cultura; tale comunione arricchisce tanto la Chiesa stessa quanto le varie culture.

Il Vangelo di Cristo rinnova continuamente la vita e la cultura dell'uomo decaduto, combatte e rimuove gli errori e i mali derivanti dalla sempre minacciosa seduzione del peccato. Continuamente purifica ed eleva la moralità dei popoli. Con la ricchezza soprannaturale feconda dall'interno, fortifica, completa e restaura in Cristo le qualità spirituali e le doti di ciascun popolo. In tal modo la Chiesa, compiendo la sua missione già con questo stesso fatto stimola e dà il suo contributo alla cultura umana e civile e, mediante la sua azione, anche liturgica, educa l'uomo alla libertà interiore.

59. Armonizzazione dei diversi aspetti della cultura

Per i motivi suddetti la Chiesa ricorda a tutti che la cultura deve mirare alla perfezione integrale della persona umana, al bene della comunità e di tutta la società umana. Perciò è necessario coltivare lo spirito in modo che si sviluppino le facoltà dell'ammirazione, dell'intuizione, della contemplazione, e si diventi capaci di formarsi un giudizio personale e di coltivare il senso religioso, morale e sociale.

Infatti la cultura, scaturendo direttamente dalla natura ragionevole e sociale dell'uomo, ha un incessante bisogno della giusta libertà per svilupparsi e le si deve riconoscere la legittima possibilità di esercizio autonomo secondo i propri principi. A ragione dunque essa esige rispetto e gode di una certa inviolabilità, salvi evidentemente i diritti della persona e della comunità, sia particolare sia universale, entro i limiti del bene comune.

Il sacro Concilio, richiamando ciò che insegnò il Concilio Vaticano I, dichiara che « esistono due ordini di conoscenza » distinti, cioè quello della fede e quello della ragione, e che la Chiesa non vieta che «le arti e le discipline umane (...) si servano, nell'ambito proprio a ciascuna, di propri principi e di un proprio metodo »; perciò, « riconoscendo questa giusta libertà », la Chiesa afferma la legittima autonomia della cultura e specialmente delle scienze (131).

Tutto questo esige pure che l'uomo, nel rispetto dell'ordine morale e della comune utilità, possa liberamente cercare la verità, manifestare e diffondere le sue opinioni, e coltivare qualsiasi arte; esige, infine, che sia informato secondo verità degli eventi della vita pubblica (132).

È compito dei pubblici poteri, non determinare il carattere proprio delle forme di cultura, ma assicurare le condizioni e i sussidi atti a promuovere la vita culturale fra tutti, anche fra le minoranze di una nazione (133). Perciò bisogna innanzi tutto esigere che la cultura, stornata dal proprio fine, non sia costretta a servire il potere politico o il potere economico.

Sezione 3: Alcuni doveri più urgenti per i cristiani circa la cultura

60. Il riconoscimento del diritto di ciascuno alla cultura e sua attuazione

Poiché si offre ora la possibilità di liberare moltissimi uomini dal flagello dell'ignoranza, è compito sommamente confacente al nostro tempo, in specie per i cristiani, lavorare indefessamente perché tanto in campo economico quanto in campo politico, tanto sul piano nazionale quanto sul piano internazionale, siano prese le decisioni fondamentali, mediante le quali sia riconosciuto e attuato dovunque il diritto di tutti a una cultura umana conforme alla dignità della persona, senza distinzione di razza, di sesso, di nazione, di religione o di condizione sociale. Perciò è necessario procurare a tutti una quantità sufficiente di beni culturali, specialmente di quelli che costituiscono la cosiddetta cultura di base, affinché moltissimi non siano impediti, a causa dell'analfabetismo e della privazione di un'attività responsabile, di dare una collaborazione veramente umana al bene comune.

Occorre perciò fare ogni sforzo affinché quelli che ne sono capaci possano accedere agli studi superiori; ma in tale maniera che, per quanto è possibile, essi possano occuparsi nell'umana società di quelle funzioni, compiti e servizi che corrispondono alle loro attitudini naturali e alle competenze acquisite (134). Così ognuno e i gruppi sociali di ciascun popolo potranno raggiungere il pieno sviluppo della loro vita culturale, in conformità con le doti e tradizioni loro proprie.

Bisogna inoltre fare di tutto perché ciascuno prenda coscienza tanto del diritto alla cultura, quanto del dovere di coltivarsi e di aiutare gli altri. Vi sono talora condizioni di vita e di lavoro che impediscono lo sforzo culturale e perciò distruggono l'interesse per la cultura. Questo vale in modo speciale per gli agricoltori e gli operai, ai quali bisogna assicurare condizioni di lavoro tali che non impediscano, ma promuovano la loro vita culturale. Le donne lavorano già in quasi tutti i settori della vita; conviene però che esse possano svolgere pienamente i loro compiti secondo le attitudini loro proprie. Sarà dovere di tutti far si che la partecipazione propria e necessaria delle donne nella vita culturale sia riconosciuta e promossa.

61. L'educazione ad una cultura integrale

Oggi vi è più difficoltà di un tempo di ridurre a sintesi le varie discipline e arti del sapere. Mentre infatti aumenta il volume e la diversità degli elementi che costituiscono la cultura, diminuisce nello stesso tempo la capacità per i singoli uomini di percepirli e di armonizzarli organicamente, cosicché l'immagine dell'«uomo universale» diviene sempre più evanescente. Tuttavia ogni uomo ha il dovere di tener fermo il concetto della persona umana integrale, in cui eccellono i valori della intelligenza, della volontà, della coscienza e della fraternità, che sono fondati tutti in Dio Creatore e sono stati mirabilmente sanati ed elevati in Cristo.

La famiglia anzitutto è come la madre e la nutrice di questa educazione; in essa i figli, vivendo in una atmosfera d'amore, apprendono più facilmente la gerarchia dei valori, mentre collaudate forme culturali vengono quasi naturalmente trasfuse nell'animo dell'adolescente, man mano che si sviluppa.

Per la medesima educazione nella società odierna vi sono opportunità derivanti specialmente dall'accresciuta diffusione del libro e dai nuovi strumenti di comunicazione culturale e sociale, che possono favorire la cultura universale. La diminuzione più o meno generalizzata del tempo dedicato al lavoro fa aumentare di giorno in giorno per molti uomini le possibilità di coltivarsi. Il tempo libero sia impiegato per distendere lo spirito, per fortificare la salute dell'anima e del corpo; mediante attività e studi di libera scelta; mediante viaggi in altri paesi (turismo), con i quali si affina lo spirito dell'uomo, e gli uomini si arricchiscono con la reciproca conoscenza; anche mediante esercizi e manifestazioni sportive, che giovano a mantenere l'equilibrio dello spirito, ed offrono un aiuto per stabilire fraterne relazioni fra gli uomini di tutte le condizioni, di nazioni o di razze diverse. I cristiani collaborino dunque affinché le manifestazioni e le attività culturali collettive, proprie della nostra epoca, siano impregnate di spirito umano e cristiano.

Tuttavia tutte queste facilitazioni non possono assicurare la piena ed integrale formazione culturale dell'uomo, se nello stesso tempo trascuriamo di interrogarci profondamente sul significato della cultura e della scienza per la persona umana.

62. Accordo fra cultura umana e insegnamento cristiano

Sebbene la Chiesa abbia grandemente contribuito al progresso della cultura, l'esperienza dimostra tuttavia che, per ragioni contingenti, l'accordo fra la cultura e la formazione cristiana non si realizza sempre senza difficoltà.

Queste difficoltà non necessariamente sono di danno alla fede; possono, anzi, stimolare lo spirito ad acquisirne una più accurata e profonda intelligenza. Infatti gli studi recenti e le nuove scoperte delle scienze, come pure quelle della storia e della filosofia, suscitano nuovi problemi che comportano conseguenze anche per la vita pratica ed esigono nuove indagini anche da parte dei teologi. Questi sono inoltre invitati, nel rispetto dei metodi e delle esigenze proprie della scienza teologica, a ricercare modi sempre più adatti di comunicare la dottrina cristiana agli uomini della loro epoca: altro è, infatti, il deposito o le verità della fede, altro è il modo con cui vengono espresse, a condizione tuttavia di salvaguardarne il significato e il senso profondo (135). Nella cura pastorale si conoscano sufficientemente e si faccia uso non soltanto dei principi della teologia, ma anche delle scoperte delle scienze profane, in primo luogo della psicologia e della sociologia, cosicché anche i fedeli siano condotti a una più pura e più matura vita di fede.

A modo loro, anche la letteratura e le arti sono di grande importanza per la vita della Chiesa. Esse cercano infatti di esprimere la natura propria dell'uomo, i suoi problemi e la sua esperienza nello sforzo di conoscere e perfezionare se stesso e il mondo; cercano di scoprire la sua situazione nella storia e nell'universo, di illustrare le sue miserie e le sue gioie, i suoi bisogni e le sue capacità, e di prospettare una sua migliore condizione. Così possono elevare la vita umana, che esprimono in molteplici forme, secondo i tempi e i luoghi.

Bisogna perciò impegnarsi affinché gli artisti si sentano compresi dalla Chiesa nella loro attività e, godendo di un'ordinata libertà, stabiliscano più facili rapporti con la comunità cristiana. Siano riconosciute dalla Chiesa le nuove tendenze artistiche adatte ai nostri tempi secondo l'indole delle diverse nazioni e regioni. Siano ammesse negli edifici del culto, quando, con modi d'espressione adatti e conformi alle esigenze liturgiche, innalzano lo spirito a Dio (136).

Così la conoscenza di Dio viene meglio manifestata e la predicazione evangelica si rende più trasparente all'intelligenza degli uomini e appare come connaturata con le loro condizioni d'esistenza.

I fedeli dunque vivano in strettissima unione con gli uomini del loro tempo, e si sforzino di penetrare perfettamente il loro modo di pensare e di sentire, quali si esprimono mediante la cultura. Sappiano armonizzare la conoscenza delle nuove scienze, delle nuove dottrine e delle più recenti scoperte con la morale e il pensiero cristiano, affinché il senso religioso e la rettitudine morale procedano in essi di pari passo con la conoscenza scientifica e con il continuo progresso della tecnica; potranno così giudicare e interpretare tutte le cose con senso autenticamente cristiano.

Coloro che si applicano alle scienze teologiche nei seminari e nelle università si studino di collaborare con gli uomini che eccellono nelle altre scienze, mettendo in comune le loro forze e opinioni. La ricerca teologica, mentre persegue la conoscenza profonda della verità rivelata, non trascuri il contatto con il proprio tempo, per poter aiutare gli uomini competenti nelle varie branche del sapere ad acquistare una più piena conoscenza della fede. Questa collaborazione gioverà grandemente alla formazione dei sacri ministri, che potranno presentare ai nostri contemporanei la dottrina della Chiesa intorno a Dio, all'uomo e al mondo in maniera più adatta, così da farla anche da essi più volentieri accettare (137). È anzi desiderabile che molti laici acquistino una conveniente formazione nelle scienze sacre e che non pochi tra loro si diano di proposito a questi studi e li approfondiscano con mezzi scientifici adeguati. Ma affinché possano esercitare il loro compito, sia riconosciuta ai fedeli, tanto ecclesiastici che laici, una giusta libertà di ricercare, di pensare e di manifestare con umiltà e coraggio la propria opinione nel campo in cui sono competenti (138).

CAPITOLO III

VITA ECONOMICO-SOCIALE

63. La vita economica e alcuni aspetti caratteristici contemporanei

Anche nella vita economico-sociale sono da tenere in massimo rilievo e da promuovere la dignità della persona umana, la sua vocazione integrale e il bene dell'intera società. L'uomo infatti è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale.

L'economia contemporanea, come ogni altro campo della vita sociale, è caratterizzata da un dominio crescente dell'uomo sulla natura, dalla moltiplicazione e dalla intensificazione dei rapporti e dalla interdipendenza tra cittadini, gruppi e popoli, come pure da un più intenso intervento dei pubblici poteri. Nello stesso tempo, il progresso nella efficienza produttiva e nella migliore organizzazione degli scambi e servizi hanno reso l'economia strumento adatto a meglio soddisfare i bisogni accresciuti della famiglia umana.

Tuttavia non mancano motivi di preoccupazione. Molti uomini, soprattutto nelle regioni economicamente sviluppate, appaiono quasi unicamente retti dalle esigenze dell'economia, cosicché quasi tutta la loro vita personale e sociale viene permeata da una mentalità economicistica, e ciò si diffonde sia nei paesi ad economia collettivistica che negli altri. In un tempo in cui lo sviluppo della vita economica, orientata e coordinata in una maniera razionale e umana, potrebbe permettere una attenuazione delle disparità sociali, troppo spesso essa si tramuta in una causa del loro aggravamento o, in alcuni luoghi, perfino nel regresso delle condizioni sociali dei deboli e nel disprezzo dei poveri. Mentre folle immense mancano dello stretto necessario, alcuni, anche nei paesi meno sviluppati, vivono nell'opulenza o dissipano i beni. Il lusso si accompagna alla miseria. E, mentre pochi uomini dispongono di un assai ampio potere di decisione, molti mancano quasi totalmente della possibilità di agire di propria iniziativa o sotto la propria responsabilità, spesso permanendo in condizioni di vita e di lavoro indegne di una persona umana.

Simili squilibri economici e sociali si avvertono tra l'agricoltura, l'industria e il settore dei servizi, come pure tra le diverse regioni di uno stesso paese. Una contrapposizione, che può mettere in pericolo la pace del mondo intero, si fa ogni giorno più grave tra le nazioni economicamente più progredite e le altre.

Gli uomini del nostro tempo reagiscono con coscienza sempre più sensibile di fronte a tali disparità: essi sono profondamente convinti che le più ampie possibilità tecniche ed economiche, proprie del mondo contemporaneo, potrebbero e dovrebbero correggere questo funesto stato di cose. Ma per questo si richiedono molte riforme nelle strutture della vita economico-sociale; è necessario anche da parte di tutti un mutamento di mentalità e di abitudini di vita. In vista di ciò la Chiesa, lungo lo svolgersi della storia, ha formulato nella luce del Vangelo e, soprattutto in questi ultimi tempi, ha largamente insegnato i principi di giustizia e di equità richiesti dalla retta ragione umana e validi sia per la vita individuale o sociale che per la vita internazionale. Il sacro Concilio, tenuto conto delle caratteristiche del tempo presente, intende riconfermare tali principi e formulare alcuni orientamenti, con particolare riguardo alle esigenze dello sviluppo economico (139).

Sezione 1: Sviluppo economico

64. Lo sviluppo economico a servizio dell'uomo

Oggi più che mai, per far fronte all'aumento della popolazione e per rispondere alle crescenti aspirazioni del genere umano, giustamente si tende ad incrementare la produzione di beni nell'agricoltura e nell'industria e la prestazione dei servizi. Perciò sono da favorire il progresso tecnico, lo spirito di innovazione, la creazione di nuove imprese e il loro ampliamento, l'adattamento nei metodi dell'attività produttiva e dello sforzo sostenuto da tutti quelli che partecipano alla produzione, in una parola tutto ciò che possa contribuire a questo sviluppo (140). Ma il fine ultimo e fondamentale di tale sviluppo non consiste nel solo aumento dei beni prodotti, né nella sola ricerca del profitto o del predominio economico, bensì nel servizio dell'uomo: dell'uomo integralmente considerato, tenendo cioè conto della gerarchia dei suoi bisogni materiali e delle esigenze della sua vita intellettuale, morale, spirituale e religiosa; di ogni uomo, diciamo, e di ogni gruppo umano, di qualsiasi razza o continente. Pertanto l'attività economica deve essere condotta secondo le leggi e i metodi propri dell'economia, ma nell'ambito dell'ordine morale (141), in modo che così risponda al disegno di Dio sull'uomo (142).

65. Lo sviluppo economico sotto il controllo dell'uomo

Lo sviluppo economico deve rimanere sotto il controllo dell'uomo. Non deve essere abbandonato all'arbitrio di pochi uomini o gruppi che abbiano in mano un eccessivo potere economico, né della sola comunità politica, né di alcune nazioni più potenti. Conviene, al contrario, che il maggior numero possibile di uomini, a tutti i livelli e, quando si tratta dei rapporti internazionali, tutte le nazioni possano partecipare attivamente al suo orientamento. È necessario egualmente che le iniziative spontanee dei singoli e delle loro libere associazioni siano coordinate e armonizzate in modo conveniente ed organico con la molteplice azione delle pubbliche autorità.

Lo sviluppo economico non può essere abbandonato né al solo gioco quasi meccanico della attività economica dei singoli, né alla sola decisione della pubblica autorità. Per questo, bisogna denunciare gli errori tanto delle dottrine che, in nome di un falso concetto di libertà, si oppongono alle riforme necessarie, quanto delle dottrine che sacrificano i diritti fondamentali delle singole persone e dei gruppi all'organizzazione collettiva della produzione (143).

Si ricordino, d'altra parte, tutti i cittadini che essi hanno il diritto e il dovere - e il potere civile lo deve riconoscere loro - di contribuire secondo le loro capacità al progresso della loro propria comunità. Specialmente nelle regioni economicamente meno progredite, dove si impone d'urgenza l'impiego di tutte le risorse ivi esistenti, danneggiano gravemente il bene comune coloro che tengono inutilizzate le proprie ricchezze o coloro che - salvo il diritto personale di migrazione - privano la propria comunità dei mezzi materiali e spirituali di cui essa ha bisogno.

66. Ingenti disparità economico-sociali da far scomparire

Per rispondere alle esigenze della giustizia e dell'equità, occorre impegnarsi con ogni sforzo affinché, nel rispetto dei diritti personali e dell'indole propria di ciascun popolo, siano rimosse il più rapidamente possibile le ingenti disparità economiche che portano con sé discriminazioni nei diritti individuali e nelle condizioni sociali quali oggi si verificano e spesso si aggravano. Similmente, in molte zone, tenendo presenti le particolari difficoltà del settore agricolo quanto alla produzione e alla commercializzazione dei beni, gli addetti all'agricoltura vanno sostenuti per aumentare la produzione e garantirne la vendita, nonché per la realizzazione delle trasformazioni e innovazioni necessarie, come pure per raggiungere un livello equo di reddito; altrimenti rimarranno, come spesso avviene, in condizioni sociali di inferiorità. Da parte loro gli agricoltori, soprattutto i giovani, si impegnino con amore a migliorare la loro competenza professionale, senza la quale non si dà sviluppo dell'agricoltura (144).

La giustizia e l'equità richiedono similmente che la mobilità, assolutamente necessaria in una economia di sviluppo, sia regolata in modo da evitare che la vita dei singoli e delle loro famiglie si faccia incerta e precaria. Per quanto riguarda i lavoratori che, provenendo da altre nazioni o regioni, concorrono con il loro lavoro allo sviluppo economico di un popolo o di una zona, è da eliminare accuratamente ogni discriminazione nelle condizioni di rimunerazione o di lavoro. Inoltre tutti e in primo luogo i poteri pubblici, devono trattarli come persone, e non semplicemente come puri strumenti di produzione; devono aiutarli perché possano accogliere presso di sé le loro famiglie e procurarsi un alloggio decoroso, nonché favorire la loro integrazione nella vita sociale del popolo o della regione che li accoglie. Si creino tuttavia nella misura del possibile, posti di lavoro nelle regioni stesse d'origine.

Nelle economie attualmente in fase di ulteriore trasformazione, come nelle nuove forme della società industriale nelle quali, per esempio, si va largamente applicando l'automazione, si richiedono misure per assicurare a ciascuno un impiego sufficiente e adatto, insieme alla possibilità di una formazione tecnica e professionale adeguata; inoltre bisogna garantire la sussistenza e la dignità umana di coloro che, soprattutto per motivi di salute e di età, si trovano in particolari difficoltà.

Sezione 2: Alcuni principi relativi all'insieme della vita economico-sociale

67. Lavoro, condizione di lavoro e tempo libero

Il lavoro umano, con cui si producono e si scambiano beni o si prestano servizi economici, è di valore superiore agli altri elementi della vita economica, poiché questi hanno solo valore di strumento.

Tale lavoro, infatti, sia svolto in forma indipendente sia per contratto con un imprenditore, procede direttamente dalla persona, la quale imprime nella natura quasi il suo sigillo e la sottomette alla sua volontà. Con il lavoro, l'uomo provvede abitualmente al sostentamento proprio e dei suoi familiari, comunica con gli altri, rende un servizio agli uomini suoi fratelli e può praticare una vera carità e collaborare attivamente al completamento della divina creazione. Ancor più: sappiamo per fede che l'uomo, offrendo a Dio il proprio lavoro, si associa all'opera stessa redentiva di Cristo, il quale ha conferito al lavoro una elevatissima dignità, lavorando con le proprie mani a Nazareth. Di qui discendono, per ciascun uomo, il dovere di lavorare fedelmente, come pure il diritto al lavoro. Corrispondentemente è compito della società, in rapporto alle condizioni in essa esistenti, aiutare da parte sua i cittadini a trovare sufficiente occupazione. Infine il lavoro va rimunerato in modo tale da garantire i mezzi sufficienti per permettere al singolo e alla sua famiglia una vita dignitosa su un piano materiale, sociale, culturale e spirituale, tenuto conto del tipo di attività e grado di rendimento economico di ciascuno, nonché delle condizioni dell'impresa e del bene comune (145).

Poiché l'attività economica è per lo più realizzata in gruppi produttivi in cui si uniscono molti uomini, è ingiusto ed inumano organizzarla con strutture ed ordinamenti che siano a danno di chi vi operi. Troppo spesso avviene invece, anche ai nostri giorni, che i lavoratori siano in un certo senso asserviti alle proprie opere. Ciò non trova assolutamente giustificazione nelle cosiddette leggi economiche. Occorre dunque adattare tutto il processo produttivo alle esigenze della persona e alle sue forme di vita, innanzitutto della sua vita domestica, particolarmente in relazione alle madri di famiglia, sempre tenendo conto del sesso e dell'età di ciascuno. Ai lavoratori va assicurata inoltre la possibilità di sviluppare le loro qualità e di esprimere la loro personalità nell'esercizio stesso del lavoro. Pur applicando a tale attività lavorativa, con doverosa responsabilità, tempo ed energie, tutti i lavoratori debbono però godere di sufficiente riposo e tempo libero, che permetta loro di curare la vita familiare, culturale, sociale e religiosa. Anzi, debbono avere la possibilità di dedicarsi ad attività libere che sviluppino quelle energie e capacità, che non hanno forse modo di coltivare nel loro lavoro professionale.

68. Partecipazione nell'impresa e nell'indirizzo economico generale; conflitti di lavoro

Nelle imprese economiche si uniscono delle persone, cioè uomini liberi ed autonomi, creati ad immagine di Dio. Perciò, prendendo in considerazione le funzioni di ciascuno - sia proprietari, sia imprenditori, sia dirigenti, sia operai - e salva la necessaria unità di direzione dell'impresa, va promossa, in forme da determinarsi in modo adeguato, la attiva partecipazione di tutti alla gestione dell'impresa (146). Poiché, tuttavia, in molti casi non è più a livello dell'impresa, ma a livello superiore in istituzioni di ordine più elevato, che si prendono le decisioni economiche e sociali da cui dipende l'avvenire dei lavoratori e dei loro figli, bisogna che essi siano parte attiva anche in tali decisioni, direttamente o per mezzo di rappresentanti liberamente eletti.

Tra i diritti fondamentali della persona umana bisogna annoverare il diritto dei lavoratori di fondare liberamente proprie associazioni, che possano veramente rappresentarli e contribuire ad organizzare rettamente la vita economica, nonché il diritto di partecipare liberamente alle attività di tali associazioni senza incorrere nel rischio di rappresaglie. Grazie a tale partecipazione organizzata, congiunta con una formazione economica e sociale crescente, andrà sempre più aumentando in tutti la coscienza della propria funzione e responsabilità: essi saranno così portati a sentirsi parte attiva, secondo le capacità e le attitudini di ciascuno, in tutta l'opera dello sviluppo economico e sociale e della realizzazione del bene comune universale.

In caso di conflitti economico-sociali, si deve fare ogni sforzo per giungere a una soluzione pacifica. Benché sempre si debba ricorrere innanzitutto a un dialogo sincero tra le parti, lo sciopero può tuttavia rimanere anche nelle circostanze odierne un mezzo necessario, benché estremo, per la difesa dei propri diritti e la soddisfazione delle giuste aspirazioni dei lavoratori. Bisogna però cercare quanto prima le vie atte a riprendere il dialogo per le trattative e la conciliazione.

69. I beni della terra e loro destinazione a tutti gli uomini

Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all'uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e pertanto i beni creati debbono essere partecipati equamente a tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità (147). Pertanto, quali che siano le forme della proprietà, adattate alle legittime istituzioni dei popoli secondo circostanze diverse e mutevoli, si deve sempre tener conto di questa destinazione universale dei beni. L'uomo, usando di questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui ma anche agli altri (148). Del resto, a tutti gli uomini spetta il diritto di avere una parte di beni sufficienti a sé e alla propria famiglia. Questo ritenevano giusto i Padri e dottori della Chiesa, i quali insegnavano che gli uomini hanno l'obbligo di aiutare i poveri, e non soltanto con il loro superfluo (149). Colui che si trova in estrema necessità, ha diritto di procurarsi il necessario dalle ricchezze altrui (150). Considerando il fatto del numero assai elevato di coloro che nel mondo intero sono oppressi dalla fame, il sacro Concilio richiama urgentemente tutti, sia singoli che autorità pubbliche, affinché - memori della sentenza dei Padri: « Dà da mangiare a colui che è moribondo per fame, perché se non gli avrai dato da mangiare, lo avrai ucciso » (151) realmente mettano a disposizione ed impieghino utilmente i propri beni, ciascuno secondo le proprie risorse, specialmente fornendo ai singoli e ai popoli i mezzi con cui essi possano provvedere a se stessi e svilupparsi.

Nelle società economicamente meno sviluppate, frequentemente la destinazione comune dei beni è in parte attuata mediante un insieme di consuetudini e di tradizioni comunitarie, che assicurano a ciascun membro i beni più necessari. Bisogna certo evitare che alcune consuetudini vengano considerate come assolutamente immutabili, se esse non rispondono più alle nuove esigenze del tempo presente; d'altra parte però, non si deve agire imprudentemente contro quelle oneste consuetudini che non cessano di essere assai utili, purché vengano opportunamente adattate alle odierne circostanze. Similmente, nelle nazioni economicamente molto sviluppate, una rete di istituzioni sociali per la previdenza e la sicurezza sociale può in parte contribuire a tradurre in atto la destinazione comune dei beni. Inoltre, è importante sviluppare ulteriormente i servizi familiari e sociali, specialmente quelli che provvedono agli aspetti culturali ed educativi. Ma nell'organizzare tutte queste istituzioni bisogna vegliare affinché i cittadini non siano indotti ad assumere di fronte alla società un atteggiamento di passività o di irresponsabilità nei compiti assunti o di rifiuto di servizio.

70. Investimenti e moneta

Gli investimenti, da parte loro, devono contribuire ad assicurare possibilità di lavoro e reddito sufficiente tanto alla popolazione attiva di oggi, quanto a quella futura. Tutti i responsabili di tali investimenti e della organizzazione della vita economica globale - sia singoli che gruppi o pubbliche autorità - devono aver presenti questi fini e mostrarsi consapevoli del loro grave obbligo: da una parte di vigilare affinché si provveda ai beni necessari richiesti per una vita decorosa sia dei singoli che di tutta la comunità; d'altra parte di prevedere le situazioni future e di assicurare il giusto equilibrio tra i bisogni attuali di consumo, sia individuale che collettivo, e le esigenze di investimenti per la generazione successiva. Si abbiano ugualmente sempre presenti le urgenti necessità delle nazioni o regioni economicamente meno sviluppate.

In campo monetario ci si guardi dal danneggiare il bene della propria nazione e delle altre. Si provveda inoltre affinché coloro che sono economicamente deboli non siano ingiustamente danneggiati dai mutamenti di valore della moneta.

71. Accesso alla proprietà e dominio privato dei beni; problemi dei latifondi Poiché la proprietà e le altre forme di potere privato sui beni esteriori contribuiscono alla espressione della persona e danno occasione all'uomo di esercitare il suo responsabile apporto nella società e nella economia, è di grande interesse favorire l'accesso degli individui o dei gruppi ad un certo potere sui beni esterni.

La proprietà privata o un qualche potere sui beni esterni assicurano a ciascuno una zona indispensabile di autonomia personale e familiare e bisogna considerarli come un prolungamento della libertà umana. Infine, stimolando l'esercizio della responsabilità, essi costituiscono una delle condizioni delle libertà civili (152).

Le forme di tale potere o di tale proprietà sono oggi varie e vanno modificandosi sempre di più di giorno in giorno. Nonostante i fondi sociali, i diritti e i servizi garantiti dalla società, le forme di tale potere o di tale proprietà restano tuttavia una fonte non trascurabile di sicurezza. Tutto ciò non va riferito soltanto alla proprietà dei beni materiali, ma altresì dei beni immateriali, come sono ad esempio le capacità professionali.

La legittimità della proprietà privata non è in contrasto con quella delle varie forme di proprietà pubblica. Però i1 trasferimento dei beni in pubblica proprietà non può essere fatto che dalla autorità competente, secondo le esigenze ed entro i limiti del bene comune e con un equo indennizzo. Spetta inoltre alla pubblica autorità impedire che si abusi della proprietà privata agendo contro il bene comune (153).

Ogni proprietà privata ha per sua natura anche un carattere sociale, che si fonda sulla comune destinazione dei beni (154). Se si trascura questo carattere sociale, la proprietà può diventare in molti modi occasione di cupidigia e di gravi disordini, così da offrire facile pretesto a quelli che contestano il diritto stesso di proprietà.

In molti paesi economicamente meno sviluppati esistono proprietà agricole estese od anche immense, scarsamente o anche per nulla coltivate per motivi di speculazione; mentre la maggioranza della popolazione è sprovvista di terreni da lavorare o fruisce soltanto di poderi troppo limitati, e d'altra parte, l'accrescimento della produzione agricola presenta un carattere di evidente urgenza. Non è raro che coloro che sono assunti come lavoratori dipendenti dai proprietari di tali vasti possedimenti, ovvero coloro che ne coltivano una parte a titolo di locazione, ricevono un salario o altre forme di remunerazione indegne di un uomo, non dispongono di una abitazione decorosa o sono sfruttati da intermediari. Mancando così ogni sicurezza, vivono in tale stato di dipendenza personale, che viene loro interdetta quasi ogni possibilità di iniziativa e di responsabilità e viene loro impedita ogni promozione culturale ed ogni partecipazione attiva nella vita sociale e politica. Si impongono pertanto, secondo le varie situazioni, delle riforme intese ad accrescere i redditi, a migliorare le condizioni di lavoro, ad aumentare la sicurezza dell'impiego e a favorire l'iniziativa personale; ed anche riforme che diano modo di distribuire le proprietà non sufficientemente coltivate a beneficio di coloro che siano capaci di farle fruttificare. In questo caso, devono essere loro assicurate le risorse e gli strumenti indispensabili, in particolare i mezzi di educazione e le possibilità di una giusta organizzazione cooperativa. Ogni volta che il bene comune esige l'espropriazione della proprietà, l'indennizzo va calcolato secondo equità, tenendo conto di tutte le circostanze.

72. L'attività economico-sociale e il regno di Cristo

I cristiani che partecipano attivamente allo sviluppo economico-sociale contemporaneo e alla lotta per la giustizia e la carità siano convinti di poter contribuire molto alla prosperità del genere umano e alla pace del mondo. In tali attività, sia che agiscano come singoli, sia come associati, brillino per il loro esempio. A tal fine è di grande importanza che, acquisite la competenza e l'esperienza assolutamente indispensabili, mentre svolgono le attività terrestri conservino una giusta gerarchia di valori, rimanendo fedeli a Cristo e al suo Vangelo, cosicché tutta la loro vita, individuale e sociale, sia compenetrata dello spirito delle beatitudini, specialmente dello spirito di povertà. Chi segue fedelmente Cristo cerca anzitutto il regno di Dio e vi trova un più valido e puro amore per aiutare i suoi fratelli e per realizzare, con l'ispirazione della carità, le opere della giustizia (155).

CAPITOLO IV

LA VITA DELLA COMUNITÀ POLITICA

73. La vita pubblica contemporanea

Ai nostri giorni si notano profonde trasformazioni anche nelle strutture e nelle istituzioni dei popoli; tali trasformazioni sono conseguenza della evoluzione culturale, economica e sociale dei popoli. Esse esercitano una grande influenza, soprattutto nel campo che riguarda i diritti e i doveri di tutti nell'esercizio della libertà civile e nel conseguimento del bene comune, come pure in ciò che si riferisce alla regolazione dei rapporti dei cittadini tra di loro e con i pubblici poteri.

Da una coscienza più viva della dignità umana sorge, in diverse regioni del mondo, lo sforzo di instaurare un ordine politico-giuridico nel quale siano meglio tutelati nella vita pubblica i diritti della persona: ad esempio, il diritto di liberamente riunirsi, associarsi, esprimere le proprie opinioni e professare la religione in privato e in pubblico. La tutela, infatti dei diritti della persona è condizione necessaria perché i cittadini, individualmente o in gruppo, possano partecipare attivamente alla vita e al governo della cosa pubblica.

Assieme al progresso culturale, economico e sociale, si rafforza in molti il desiderio di assumere maggiori responsabilità nell'organizzare la vita della comunità politica.

Nella coscienza di molti aumenta la preoccupazione di salvaguardare i diritti delle minoranze di una nazione, senza che queste dimentichino il loro dovere verso la comunità politica. Cresce inoltre il rispetto verso le persone che hanno altre opinioni o professano religioni diverse. Contemporaneamente si instaura una più larga collaborazione, tesa a garantire a tutti i cittadini, e non solo a pochi privilegiati, l'effettivo godimento dei diritti personali.

Vengono condannate tutte quelle forme di regime politico, vigenti in alcune regioni, che impediscono la libertà civile o religiosa, moltiplicano le vittime delle passioni e dei crimini politici e distorcono l'esercizio dell'autorità dal bene comune per farlo servire all'interesse di una fazione o degli stessi governanti.

Per instaurare una vita politica veramente umana non c'è niente di meglio che coltivare il senso interiore della giustizia, dell'amore e del servizio al bene comune e rafforzare le convinzioni fondamentali sulla vera natura della comunità politica e sul fine, sul buon esercizio e sui limiti di competenza dell'autorità pubblica.

74. Natura e fine della comunità politica

Gli uomini, le famiglie e i diversi gruppi che formano la comunità civile sono consapevoli di non essere in grado, da soli, di costruire una vita capace di rispondere pienamente alle esigenze della natura umana e avvertono la necessità di una comunità più ampia, nella quale tutti rechino quotidianamente il contributo delle proprie capacità, allo scopo di raggiungere sempre meglio il bene comune (156).

Per questo essi costituiscono, secondo vari tipi istituzionali, una comunità politica.

La comunità politica esiste dunque in funzione di quel bene comune, nel quale essa trova significato e piena giustificazione e che costituisce la base originaria del suo diritto all'esistenza.

Il bene comune si concreta nell'insieme di quelle condizioni di vita sociale che consentono e facilitano agli esseri umani, alle famiglie e alle associazioni il conseguimento più pieno della loro perfezione (157).

Ma nella comunità politica si riuniscono insieme uomini numerosi e differenti, che legittimamente possono indirizzarsi verso decisioni diverse. Affinché la comunità politica non venga rovinata dal divergere di ciascuno verso la propria opinione, è necessaria un'autorità capace di dirigere le energie di tutti i cittadini verso il bene comune, non in forma meccanica o dispotica, ma prima di tutto come forza morale che si appoggia sulla libertà e sul senso di responsabilità.

È dunque evidente che la comunità politica e l'autorità pubblica hanno il loro fondamento nella natura umana e perciò appartengono all'ordine fissato da Dio, anche se la determinazione dei regimi politici e la designazione dei governanti sono lasciate alla libera decisione dei cittadini (158).

Ne segue parimenti che l'esercizio dell'autorità politica, sia da parte della comunità come tale, sia da parte degli organismi che rappresentano lo Stato, deve sempre svolgersi nell'ambito dell'ordine morale, per il conseguimento del bene comune (ma concepito in forma dinamica), secondo le norme di un ordine giuridico già definito o da definire. Allora i cittadini sono obbligati in coscienza ad obbedire (159). Da ciò risulta chiaramente la responsabilità, la dignità e 1 importanza del ruolo di coloro che governano.

Dove i cittadini sono oppressi da un'autorità pubblica che va al di là delle sue competenze, essi non rifiutino ciò che è oggettivamente richiesto dal bene comune; sia però lecito difendere i diritti propri e dei concittadini contro gli abusi dell'autorità, nel rispetto dei limiti dettati dalla legge naturale e dal Vangelo.

Le modalità concrete con le quali la comunità politica organizza le proprie strutture e l'equilibrio dei pubblici poteri possono variare, secondo l'indole dei diversi popoli e il cammino della storia; ma sempre devono mirare alla formazione di un uomo educato, pacifico e benevolo verso tutti, per il vantaggio di tutta la famiglia umana.

75. Collaborazione di tutti alla vita pubblica

È pienamente conforme alla natura umana che si trovino strutture giuridico-politiche che sempre meglio offrano a tutti i cittadini, senza alcuna discriminazione, la possibilità effettiva di partecipare liberamente e attivamente sia alla elaborazione dei fondamenti giuridici della comunità politica, sia al governo degli affari pubblici, sia alla determinazione del campo d'azione e dei limiti dei differenti organismi, sia alla elezione dei governanti (160).

Si ricordino perciò tutti i cittadini del diritto, che è anche dovere, di usare del proprio libero voto per la promozione del bene comune (161).

La Chiesa stima degna di lode e di considerazione l'opera di coloro che, per servire gli uomini, si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità.

Affinché la collaborazione di cittadini responsabili possa ottenere felici risultati nella vita politica quotidiana, si richiede un ordinamento giuridico positivo, che organizzi una opportuna ripartizione delle funzioni e degli organi del potere, insieme ad una protezione efficace dei diritti, indipendente da chiunque.

I diritti delle persone, delle famiglie e dei gruppi e il loro esercizio devono essere riconosciuti, rispettati e promossi non meno dei doveri ai quali ogni cittadino è tenuto. Tra questi ultimi non sarà inutile ricordare il dovere di apportare allo Stato i servizi, materiali e personali, richiesti dal bene comune.

Si guardino i governanti dall'ostacolare i gruppi familiari, sociali o culturali, i corpi o istituti intermedi, né li privino delle loro legittime ed efficaci attività, che al contrario devono volentieri e ordinatamente favorire.

Quanto ai cittadini, individualmente o in gruppo, evitino di attribuire un potere eccessivo all'autorità pubblica, né chiedano inopportunamente ad essa troppi servizi e troppi vantaggi, col rischio di diminuire così la responsabilità delle persone, delle famiglie e dei gruppi sociali.

Ai tempi nostri, la complessità dei problemi obbliga i pubblici poteri ad intervenire più frequentemente in materia sociale, economica e culturale, per determinare le condizioni più favorevoli che permettano ai cittadini e ai gruppi di perseguire più efficacemente, nella libertà, il bene completo dell'uomo. Il rapporto tra la socializzazione (162) l'autonomia e lo sviluppo della persona può essere concepito in modo differente nelle diverse regioni del mondo e in base alla evoluzione dei popoli. Ma dove l'esercizio dei diritti viene temporaneamente limitato in vista del bene comune, si ripristini al più presto possibile la libertà quando le circostanze sono cambiate. È in ogni caso inumano che l'autorità politica assuma forme totalitarie, oppure forme dittatoriali che ledano i diritti della persona o dei gruppi sociali.

I cittadini coltivino con magnanimità e lealtà l'amore verso la patria, ma senza grettezza di spirito, cioè in modo tale da prendere anche contemporaneamente in considerazione il bene di tutta la famiglia umana, di tutte le razze, popoli e nazioni, che sono unite da innumerevoli legami.

Tutti i cristiani devono prendere coscienza della propria speciale vocazione nella comunità politica; essi devono essere d'esempio, sviluppando in se stessi il senso della responsabilità e la dedizione al bene comune, così da mostrare con i fatti come possano armonizzarsi l'autorità e la libertà, l'iniziativa personale e la solidarietà di tutto il corpo sociale, la opportuna unità e la proficua diversità. In ciò che concerne l'organizzazione delle cose terrene, devono ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali e rispettare i cittadini che, anche in gruppo, difendono in maniera onesta il loro punto di vista.

I partiti devono promuovere ciò che, a loro parere, è richiesto dal bene comune; mai però è lecito anteporre il proprio interesse a tale bene.

Bisogna curare assiduamente la educazione civica e politica, oggi particolarmente necessaria, sia per l'insieme del popolo, sia soprattutto per i giovani, affinché tutti i cittadini possano svolgere il loro ruolo nella vita della comunità politica. Coloro che sono o possono diventare idonei per l'esercizio dell'arte politica, così difficile, ma insieme così nobile (163). Vi si preparino e si preoccupino di esercitarla senza badare al proprio interesse e a vantaggi materiali. Agiscono con integrità e saggezza contro l'ingiustizia e l'oppressione, l'assolutismo e l'intolleranza d'un solo uomo e d'un solo partito politico; si prodighino con sincerità ed equità al servizio di tutti, anzi con l'amore e la fortezza richiesti dalla vita politica.

76. La comunità politica e la Chiesa

È di grande importanza, soprattutto in una società pluralista, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa e che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla loro coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori.

La Chiesa che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana.

La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l'una dall'altra nel proprio campo. Ma tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale degli stessi uomini. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace, quanto più coltiveranno una sana collaborazione tra di loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e di tempo. L'uomo infatti non è limitato al solo orizzonte temporale, ma, vivendo nella storia umana, conserva integralmente la sua vocazione eterna.

Quanto alla Chiesa, fondata nell'amore del Redentore, essa contribuisce ad estendere il raggio d'azione della giustizia e dell'amore all'interno di ciascuna nazione e tra le nazioni. Predicando la verità evangelica e illuminando tutti i settori dell'attività umana con la sua dottrina e con la testimonianza resa dai cristiani, rispetta e promuove anche la libertà politica e la responsabilità dei cittadini.

Gli apostoli e i loro successori con i propri collaboratori, essendo inviati ad annunziare agli uomini il Cristo Salvatore del mondo, nell'esercizio del loro apostolato si appoggiano sulla potenza di Dio, che molto spesso manifesta la forza del Vangelo nella debolezza dei testimoni. Bisogna che tutti quelli che si dedicano al ministero della parola di Dio, utilizzino le vie e i mezzi propri del Vangelo, i quali differiscono in molti punti dai mezzi propri della città terrestre.

Certo, le cose terrene e quelle che, nella condizione umana, superano questo mondo, sono strettamente unite, e la Chiesa stessa si serve di strumenti temporali nella misura in cui la propria missione lo richiede. Tuttavia essa non pone la sua speranza nei privilegi offertigli dall'autorità civile. Anzi, essa rinunzierà all'esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni.

Ma sempre e dovunque, e con vera libertà, è suo diritto predicare la fede e insegnare la propria dottrina sociale, esercitare senza ostacoli la propria missione tra gli uomini e dare il proprio giudizio morale, anche su cose che riguardano l'ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime. E farà questo utilizzando tutti e soli quei mezzi che sono conformi al Vangelo e in armonia col bene di tutti, secondo la diversità dei tempi e delle situazioni.

Nella fedeltà del Vangelo e nello svolgimento della sua missione nel mondo, la Chiesa, che ha come compito di promuovere ed elevare tutto quello che di vero, buono e bello si trova nella comunità umana (164) rafforza la pace tra gli uomini a gloria di Dio (165).

CAPITOLO V

LA PROMOZIONE DELLA PACE E LA COMUNITÀ DELLE NAZIONI

77. Introduzione

In questi nostri anni, nei quali permangono ancora gravissime tra gli uomini le afflizioni e le angustie derivanti da guerre ora imperversanti, ora incombenti, l'intera società umana è giunta ad un momento sommamente decisivo nel processo della sua maturazione. Mentre a poco a poco l'umanità va unificandosi e in ogni luogo diventa ormai più consapevole della propria unità, non potrà tuttavia portare a compimento l'opera che l'attende, di costruire cioè un mondo più umano per tutti gli uomini e su tutta la terra, se gli uomini non si volgeranno tutti con animo rinnovato alla vera pace. Per questo motivo il messaggio evangelico, in armonia con le aspirazioni e gli ideali più elevati del genere umano, risplende in questi nostri tempi di rinnovato fulgore quando proclama beati i promotori della pace, «perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9).

Illustrando pertanto la vera e nobilissima concezione della pace, il Concilio, condannata l'inumanità della guerra, intende rivolgere un ardente appello ai cristiani, affinché con l'aiuto di Cristo, autore della pace, collaborino con tutti per stabilire tra gli uomini una pace fondata sulla giustizia e sull'amore e per apprestare i mezzi necessari per il suo raggiungimento.

78. La natura della pace

La pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l'equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita a opera della giustizia » (Is 32,7). È il frutto dell'ordine impresso nella società umana dal suo divino Fondatore e che deve essere attuato dagli uomini che aspirano ardentemente ad una giustizia sempre più perfetta. Infatti il bene comune del genere umano è regolato, sì, nella sua sostanza, dalla legge eterna, ma nelle sue esigenze concrete è soggetto a continue variazioni lungo il corso del tempo; per questo la pace non è mai qualcosa di raggiunto una volta per tutte, ma è un edificio da costruirsi continuamente. Poiché inoltre la volontà umana è labile e ferita per di più dal peccato, l'acquisto della pace esige da ognuno il costante dominio delle passioni e la vigilanza della legittima autorità.

Tuttavia questo non basta. Tale pace non si può ottenere sulla terra se non è tutelato il bene delle persone e se gli uomini non possono scambiarsi con fiducia e liberamente le ricchezze del loro animo e del loro ingegno. La ferma volontà di rispettare gli altri uomini e gli altri popoli e la loro dignità, e l'assidua pratica della fratellanza umana sono assolutamente necessarie per la costruzione della pace. In tal modo la pace è frutto anche dell'amore, il quale va oltre quanto può apportare la semplice giustizia.

La pace terrena, che nasce dall'amore del prossimo, è essa stessa immagine ed effetto della pace di Cristo che promana dal Padre. Il Figlio incarnato infatti, principe della pace, per mezzo della sua croce ha riconciliato tutti gli uomini con Dio; ristabilendo l'unità di tutti in un solo popolo e in un solo corpo, ha ucciso nella sua carne (166) l'odio e, nella gloria della sua risurrezione, ha diffuso lo Spirito di amore nel cuore degli uomini.

Pertanto tutti i cristiani sono chiamati con insistenza a praticare la verità nell'amore (Ef 4,15) e ad unirsi a tutti gli uomini sinceramente amanti della pace per implorarla dal cielo e per attuarla.

Mossi dal medesimo spirito, noi non possiamo non lodare coloro che, rinunciando alla violenza nella rivendicazione dei loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono, del resto, alla portata anche dei più deboli, purché ciò si possa fare senza pregiudizio dei diritti e dei doveri degli altri o della comunità.

Gli uomini, in quanto peccatori, sono e saranno sempre sotto la minaccia della guerra fino alla venuta di Cristo; ma in quanto riescono, uniti nell'amore, a vincere i1 peccato essi vincono anche la violenza, fino alla realizzazione di quella parola divina « Con le loro spade costruiranno aratri e falci con le loro lance; nessun popolo prenderà più le armi contro un altro popolo, né si eserciteranno più per la guerra» (Is 2,4).

Sezione 1: Necessità di evitare la guerra

79. Il dovere di mitigare l'inumanità della guerra

Sebbene le recenti guerre abbiano portato al nostro mondo gravissimi danni sia materiali che morali, ancora ogni giorno in qualche punto della terra la guerra continua a produrre le sue devastazioni. Anzi dal momento che in essa si fa uso di armi scientifiche di ogni genere, la sua atrocità minaccia di condurre i combattenti ad una barbarie di gran lunga superiore a quella dei tempi passati. La complessità inoltre delle odierne situazioni e la intricata rete delle relazioni internazionali fanno sì che vengano portate in lungo, con nuovi metodi insidiosi e sovversivi, guerre più o meno larvate. In molti casi il ricorso ai sistemi del terrorismo è considerato anch'esso una nuova forma di guerra.

Davanti a questo stato di degradazione dell'umanità, il Concilio intende innanzi tutto richiamare alla mente il valore immutabile del diritto naturale delle genti e dei suoi principi universali. La stessa coscienza del genere umano proclama quei principi con sempre maggiore fermezza e vigore. Le azioni pertanto che deliberatamente si oppongono a quei principi e gli ordini che comandano tali azioni sono crimini, né l'ubbidienza cieca può scusare coloro che li eseguono. Tra queste azioni vanno innanzi tutto annoverati i metodi sistematici di sterminio di un intero popolo, di una nazione o di una minoranza etnica; orrendo delitto che va condannato con estremo rigore. Deve invece essere sostenuto il coraggio di coloro che non temono di opporsi apertamente a quelli che ordinano tali misfatti.

Esistono, in materia di guerra, varie convenzioni internazionali, che un gran numero di nazioni ha sottoscritto per rendere meno inumane le azioni militari e le loro conseguenze. Tali sono le convenzioni relative alla sorte dei militari feriti o prigionieri e molti impegni del genere. Tutte queste convenzioni dovranno essere osservate; anzi le pubbliche autorità e gli esperti in materia dovranno fare ogni sforzo, per quanto è loro possibile, affinché siano perfezionate, in modo da renderle capaci di porre un freno più adatto ed efficace alle atrocità della guerra. Sembra inoltre conforme ad equità che le leggi provvedano umanamente al caso di coloro che, per motivi di coscienza, ricusano l'uso delle armi, mentre tuttavia accettano qualche altra forma di servizio della comunità umana.

La guerra non è purtroppo estirpata dalla umana condizione. E fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un'autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa. I capi di Stato e coloro che condividono la responsabilità della cosa pubblica hanno dunque il dovere di tutelare la salvezza dei popoli che sono stati loro affidati, trattando con grave senso di responsabilità cose di così grande importanza. Ma una cosa è servirsi delle armi per difendere i giusti diritti dei popoli, ed altra cosa voler imporre il proprio dominio su altre nazioni. La potenza delle armi non rende legittimo ogni suo uso militare o politico. Né per il fatto che una guerra è ormai disgraziatamente scoppiata, diventa per questo lecita ogni cosa tra le parti in conflitto.

Coloro poi che al servizio della patria esercitano la loro professione nelle file dell'esercito, si considerino anch'essi come servitori della sicurezza e della libertà dei loro popoli; se rettamente adempiono il loro dovere, concorrono anch'essi veramente alla stabilità della pace.

80. La guerra totale

Il progresso delle armi scientifiche ha enormemente accresciuto l'orrore e l'atrocità della guerra. Le azioni militari, infatti, se condotte con questi mezzi, possono produrre distruzioni immani e indiscriminate, che superano pertanto di gran lunga i limiti di una legittima difesa. Anzi, se mezzi di tal genere, quali ormai si trovano negli arsenali delle grandi potenze, venissero pienamente utilizzati, si avrebbe la reciproca e pressoché totale distruzione delle parti contendenti, senza considerare le molte devastazioni che ne deriverebbero nel resto del mondo e gli effetti letali che sono la conseguenza dell'uso di queste armi.

Tutte queste cose ci obbligano a considerare l'argomento della guerra con mentalità completamente nuova (167). Sappiano gli uomini di questa età che dovranno rendere severo conto dei loro atti di guerra, perché il corso dei tempi futuri dipenderà in gran parte dalle loro decisioni di oggi.

Avendo ben considerato tutte queste cose, questo sacro Concilio, facendo proprie le condanne della guerra totale già pronunciate dai recenti sommi Pontefici  dichiara (168):

Ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato con fermezza e senza esitazione.

Il rischio caratteristico della guerra moderna consiste nel fatto che essa offre quasi l'occasione a coloro che posseggono le più moderne armi scientifiche di compiere tali delitti e, per una certa inesorabile concatenazione, può sospingere le volontà degli uomini alle più atroci decisioni. Affinché dunque non debba mai più accadere questo in futuro, i vescovi di tutto il mondo, ora riuniti, scongiurano tutti, in modo particolare i governanti e i supremi comandanti militari a voler continuamente considerare, davanti a Dio e davanti alla umanità intera, l'enorme peso della loro responsabilità.

81. La corsa agli armamenti

Le armi scientifiche, è vero, non vengono accumulate con l'unica intenzione di poterle usare in tempo di guerra. Poiché infatti si ritiene che la solidità della difesa di ciascuna parte dipenda dalla possibilità fulminea di rappresaglie, questo ammassamento di armi, che va aumentando di anno in anno, serve, in maniera certo paradossale, a dissuadere eventuali avversari dal compiere atti di guerra. E questo è ritenuto da molti il mezzo più efficace per assicurare oggi una certa pace tra le nazioni.

Qualunque cosa si debba pensare di questo metodo dissuasivo, si convincano gli uomini che la corsa agli armamenti, alla quale si rivolgono molte nazioni, non è una via sicura per conservare saldamente la pace, né il cosiddetto equilibrio che ne risulta può essere considerato pace vera e stabile. Le cause di guerra, anziché venire eliminate da tale corsa, minacciano piuttosto di aggravarsi gradatamente. E mentre si spendono enormi ricchezze per la preparazione di armi sempre nuove, diventa poi impossibile arrecare sufficiente rimedio alle miserie così grandi del mondo presente. Anziché guarire veramente, nel profondo, i dissensi tra i popoli, si finisce per contagiare anche altre parti del mondo. Nuove strade converrà cercare partendo dalla riforma degli spiriti, perché possa essere rimosso questo scandalo e al mondo, liberato dall'ansietà che l'opprime, possa essere restituita una pace vera.

È necessario pertanto ancora una volta dichiarare: la corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi dell'umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri; e c'è molto da temere che, se tale corsa continuerà, produrrà un giorno tutte le stragi, delle quali va già preparando i mezzi.

Ammoniti dalle calamità che il genere umano ha rese possibili, cerchiamo di approfittare della tregua di cui ora godiamo e che è stata a noi concessa dall'alto, per prendere maggiormente coscienza della nostra responsabilità e trovare delle vie per comporre in maniera più degna dell'uomo le nostre controversie. La Provvidenza divina esige da noi con insistenza che liberiamo noi stessi dall'antica schiavitù della guerra.

Se poi rifiuteremo di compiere tale sforzo non sappiamo dove ci condurrà la strada perversa per la quale ci siamo incamminati.

82. La condanna assoluta della guerra e l'azione internazionale per evitarla

È chiaro pertanto che dobbiamo con ogni impegno sforzarci per preparare quel tempo nel quale, mediante l'accordo delle nazioni, si potrà interdire del tutto qualsiasi ricorso alla guerra. Questo naturalmente esige che venga istituita un'autorità pubblica universale, da tutti riconosciuta, la quale sia dotata di efficace potere per garantire a tutti i popoli sicurezza, osservanza della giustizia e rispetto dei diritti. Ma prima che questa auspicabile autorità possa essere costituita, è necessario che le attuali supreme istanze internazionali si dedichino con tutto l'impegno alla ricerca dei mezzi più idonei a procurare la sicurezza comune. La pace deve sgorgare spontanea dalla mutua fiducia delle nazioni, piuttosto che essere imposta ai popoli dal terrore delle armi. Pertanto tutti debbono impegnarsi con alacrità per far cessare finalmente la corsa agli armamenti. Perché la riduzione degli armamenti incominci realmente, non deve certo essere fatta in modo unilaterale, ma con uguale ritmo da una parte e dall'altra, in base ad accordi comuni e con l'adozione di efficaci garanzie (169).

Non sono frattanto da sottovalutare gli sforzi già fatti e che si vanno tuttora facendo per allontanare il pericolo della guerra. Va piuttosto incoraggiata la buona volontà di tanti che pur gravati dalle ingenti preoccupazioni del loro altissimo ufficio, mossi dalla gravissima responsabilità da cui si sentono vincolati, si danno da fare in ogni modo per eliminare la guerra, di cui hanno orrore pur non potendo prescindere dalla complessa realtà delle situazioni. Bisogna rivolgere incessanti preghiere a Dio affinché dia loro la forza di intraprendere con perseveranza e condurre a termine con coraggio quest'opera del più grande amore per gli uomini, per mezzo della quale si costruisce virilmente l'edificio della pace. Tale opera esige oggi certamente che essi dilatino la loro mente e il loro cuore al di là dei confini della propria nazione, deponendo ogni egoismo nazionale ed ogni ambizione di supremazia su altre nazioni, e nutrendo invece un profondo rispetto verso tutta l'umanità, avviata ormai così faticosamente verso una maggiore unità.

Per ciò che riguarda i problemi della pace e del disarmo, bisogna tener conto degli studi approfonditi, già coraggiosamente e instancabilmente condotti e dei consessi internazionali che trattarono questi argomenti e considerarli come i primi passi verso la soluzione di problemi così gravi; con maggiore insistenza ed energia dovranno quindi essere promossi in avvenire, al fine di ottenere risultati concreti. Stiano tuttavia bene attenti gli uomini a non affidarsi esclusivamente agli sforzi di alcuni, senza preoccuparsi minimamente dei loro propri sentimenti. I capi di Stato, infatti, i quali sono mallevadori del bene comune delle proprie nazioni e fautori insieme del bene della umanità intera, dipendono in massima parte dalle opinioni e dai sentimenti delle moltitudini. È inutile infatti che essi si adoperino con tenacia a costruire la pace, finché sentimenti di ostilità, di disprezzo e di diffidenza, odi razziali e ostinate ideologie dividono gli uomini, ponendoli gli uni contro gli altri. Di qui la estrema, urgente necessità di una rinnovata educazione degli animi e di un nuovo orientamento nell'opinione pubblica. Coloro che si dedicano a un'opera di educazione, specie della gioventù, e coloro che contribuiscono alla formazione della pubblica opinione, considerino loro dovere gravissimo inculcare negli animi di tutti sentimenti nuovi, ispiratori di pace. E ciascuno di noi deve adoperarsi per mutare il suo cuore, aprendo gli occhi sul mondo intero e su tutte quelle cose che gli uomini possono compiere insieme per condurre l'umanità verso un migliore destino.

Né ci inganni una falsa speranza. Se non verranno in futuro conclusi stabili e onesti trattati di pace universale, rinunciando ad ogni odio e inimicizia, L'umanità che, pur avendo compiuto mirabili conquiste nel campo scientifico, si trova già in grave pericolo, sarà forse condotta funestamente a quell'ora, in cui non potrà sperimentare altra pace che la pace terribile della morte.

La Chiesa di Cristo nel momento in cui, posta in mezzo alle angosce del tempo presente, pronuncia tali parole, non cessa tuttavia di nutrire la più ferma speranza. Agli uomini della nostra età essa intende presentare con insistenza, sia che l'accolgano favorevolmente, o la respingano come importuna, il messaggio degli apostoli: a Ecco ora il tempo favorevole » per trasformare i cuori, «ecco ora i giorni della salvezza» (170).

Sezione 2: La costruzione della comunità internazionale

83. Le cause di discordia e i loro rimedi

L'edificazione della pace esige prima di tutto che, a cominciare dalle ingiustizie, si eliminino le cause di discordia che fomentano le guerre. Molte occasioni provengono dalle eccessive disparità economiche e dal ritardo con cui vi si porta il necessario rimedio. Altre nascono dallo spirito di dominio, dal disprezzo delle persone e, per accennare ai motivi più reconditi, dall'invidia, dalla diffidenza, dall'orgoglio e da altre passioni egoistiche. Poiché gli uomini non possono tollerare tanti disordini avviene che il mondo, anche quando non conosce le atrocità della guerra, resta tuttavia continuamente in balia di lotte e di violenze. I medesimi mali si riscontrano inoltre nei rapporti tra le nazioni. Quindi per vincere e per prevenire questi mali, per reprimere lo scatenamento della violenza, è assolutamente necessario che le istituzioni internazionali sviluppino e consolidino la loro cooperazione e la loro coordinazione e che, senza stancarsi, si stimoli la creazione di organismi idonei a promuovere la pace.

84. La comunità delle nazioni e le istituzioni internazionali

Dati i crescenti e stretti legami di mutua dipendenza esistenti oggi tra tutti gli abitanti e i popoli della terra, la ricerca adeguata e il raggiungimento efficace del bene comune richiedono che la comunità delle nazioni si dia un ordine che risponda ai suoi compiti attuali, tenendo particolarmente conto di quelle numerose regioni che ancor oggi si trovano in uno stato di intollerabile miseria.

Per conseguire questi fini, le istituzioni internazionali devono, ciascuna per la loro parte, provvedere ai diversi bisogni degli uomini, tanto nel campo della vita sociale (cui appartengono l'alimentazione, la salute, la educazione, il lavoro), quanto in alcune circostanze particolari che sorgono qua e là: per esempio, la necessità di aiutare la crescita generale delle nazioni in via di sviluppo, o ancora il sollievo alle necessità dei profughi in ogni parte del mondo, o degli emigrati e delle loro famiglie.

Le istituzioni internazionali, tanto universali che regionali già esistenti, si sono rese certamente benemerite del genere umano. Esse rappresentano i primi sforzi per gettare le fondamenta internazionali di tutta la comunità umana al fine di risolvere le più gravi questioni del nostro tempo: promuovere il progresso in ogni luogo della terra e prevenire la guerra sotto qualsiasi forma. In tutti questi campi, la Chiesa si rallegra dello spirito di vera fratellanza che fiorisce tra cristiani e non cristiani, e dello sforzo d'intensificare i tentativi intesi a sollevare l'immane miseria.

85. La cooperazione internazionale sul piano economico

La solidarietà attuale del genere umano impone anche che si stabilisca una maggiore cooperazione internazionale in campo economico. Se infatti quasi tutti i popoli hanno acquisito l'indipendenza politica, si è tuttavia ancora lontani dal potere affermare che essi siano liberati da eccessive ineguaglianze e da ogni forma di dipendenza abusiva, e che sfuggano al pericolo di gravi difficoltà interne.

Lo sviluppo d'un paese dipende dalle sue risorse in uomini e in denaro. Bisogna preparare i cittadini di ogni nazione, attraverso l'educazione e la formazione professionale, ad assumere i diversi incarichi della vita economica e sociale. A tal fine si richiede l'opera di esperti stranieri, i quali nel prestare la loro azione, si comportino non come padroni, ma come assistenti e cooperatori. Senza profonde modifiche nei metodi attuali del commercio mondiale, le nazioni in via di sviluppo non potranno ricevere i sussidi materiali di cui hanno bisogno. Inoltre, altre risorse devono essere loro date dalle nazioni progredite, sotto forma di dono, di prestiti e d'investimenti finanziari: ciò si faccia con generosità e senza cupidigia, da una parte, e si ricevano, dall'altra, con tutta onestà.

Per instaurare un vero ordine economico mondiale, bisognerà rinunciare ai benefici esagerati, alle ambizioni nazionali, alla bramosia di dominazione politica, ai calcoli di natura militaristica e alle manovre tendenti a propagare e imporre ideologie. Vari sono i sistemi economici e sociali proposti; è desiderabile che gli esperti possano trovare in essi un fondamento comune per un sano commercio mondiale. Ciò sarà più facile se ciascuno, rinunciando ai propri pregiudizi, si dispone di buon grado a condurre un sincero dialogo.

86. Alcune norme opportune

In vista di questa cooperazione, sembra utile proporre le norme seguenti:

a) Le nazioni in via di sviluppo tendano soprattutto ad assegnare, espressamente e senza equivoci, come fine del progresso la piena espansione umana dei cittadini. Si ricordino che questo progresso trova innanzi tutto la sua origine e il suo dinamismo nel lavoro e nella ingegnosità delle popolazioni stesse, visto che esso deve sl far leva sugli aiuti esterni, ma, prima di tutto, sulla valorizzazione delle proprie risorse nonché sulla propria cultura e tradizione. In questa materia, quelli che esercitano sugli altri maggiore influenza devono dare l'esempio.

b) È dovere gravissimo delle nazioni evolute di aiutare i popoli in via di sviluppo ad adempiere i compiti sopraddetti. Perciò esse procedano a quelle revisioni interne, spirituali e materiali, richieste da questa cooperazione universale. Così bisogna che negli scambi con le nazioni più deboli e meno fortunate abbiano riguardo al bene di quelle che hanno bisogno per la loro stessa sussistenza dei proventi ricavati dalla vendita dei propri prodotti.

c) Spetta alla comunità internazionale coordinare e stimolare lo sviluppo, curando tuttavia di distribuire con la massima efficacia ed equità le risorse a ciò destinate. Salvo il principio di sussidiarietà, ad essa spetta anche di ordinare i rapporti economici mondiali secondo le norme della giustizia.

Si fondino istituti capaci di promuovere e di regolare il commercio internazionale, specialmente con le nazioni meno sviluppate, e destinati pure a compensare gli inconvenienti che derivano dall'eccessiva disuguaglianza di potere fra le nazioni. Accanto all'aiuto tecnico, culturale e finanziario, un simile ordinamento dovrebbe mettere a disposizione delle nazioni in via di sviluppo le risorse necessarie ad ottenere una crescita soddisfacente della loro economia.

d) In molti casi è urgente procedere a una revisione delle strutture economiche e sociali. Ma bisogna guardarsi dalle soluzioni tecniche premature, specialmente da quelle che, mentre offrono all'uomo certi vantaggi materiali, si oppongono al suo carattere spirituale e alla sua crescita. Poiché « non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio » (Mt 4,4). Ogni parte della famiglia umana reca in sé e nelle sue migliori tradizioni qualcosa di quel tesoro spirituale che Dio ha affidato all'umanità, anche se molti ignorano da quale fonte provenga.

87. La cooperazione internazionale e l'accrescimento demografico

La cooperazione internazionale è indispensabile soprattutto quando si tratta dei popoli che, fra le molte altre difficoltà, subiscono oggi in modo tutto speciale quelle derivanti da un rapido incremento demografico. È urgente e necessario ricercare come, con la cooperazione intera ed assidua di tutti, specie delle nazioni più favorite, si possa procurare e mettere a disposizione dell'intera comunità umana quei beni che sono necessari alla sussistenza e alla conveniente istruzione di ciascuno. Alcuni popoli potrebbero migliorare seriamente le loro condizioni di vita se, debitamente istruiti, passassero dai vecchi metodi di agricoltura ai nuovi procedimenti tecnici di produzione, applicandoli con la prudenza necessaria alla situazione propria e se instaurassero inoltre un migliore ordine sociale e attuassero una più giusta distribuzione della proprietà terriera.

Nei limiti della loro competenza, i governi hanno diritti e doveri per ciò che concerne il problema demografico della nazione; come, ad esempio, per quanto riguarda la legislazione sociale e familiare, le migrazioni dalla campagna alle città, o quando si tratta dell'informazione relativa alla situazione e ai bisogni del paese. Oggi gli animi sono molto agitati da questi problemi. Si deve quindi sperare che cattolici competenti in tutte queste materie, in particolare nelle università, proseguano assiduamente gli studi già iniziati e li sviluppino maggiormente.

Poiché molti affermano che l'accrescimento demografico nel mondo, o almeno in alcune nazioni, debba essere frenato in maniera radicale con ogni mezzo e con non importa quale intervento dell'autorità pubblica, il Concilio esorta tutti ad astenersi da soluzioni contrarie alla legge morale, siano esse promosse o imposte pubblicamente o in privato. Infatti, in virtù del diritto inalienabile dell'uomo al matrimonio e alla generazione della prole, la decisione circa il numero dei figli da mettere al mondo dipende dal retto giudizio dei genitori e non può in nessun modo essere lasciata alla discrezione dell'autorità pubblica. Ma siccome questo giudizio dei genitori suppone una coscienza ben formata, è di grande importanza dare a tutti il modo di accedere a un livello di responsabilità conforme alla morale e veramente umano, nel rispetto della legge divina e tenendo conto delle circostanze. Tutto ciò esige un po' dappertutto un miglioramento dei mezzi pedagogici e delle condizioni sociali, soprattutto una formazione religiosa o almeno una solida formazione morale. Le popolazioni poi siano opportunamente informate sui progressi della scienza nella ricerca di quei metodi che potranno aiutare i coniugi in materia di regolamentazione delle nascite, una volta che sia ben accertato il valore di questi metodi e stabilito il loro accordo con la morale.

88. Il compito dei cristiani nell'aiuto agli altri paesi

I cristiani cooperino volentieri e con tutto il cuore all'edificazione dell'ordine internazionale, nel rispetto delle legittime libertà e in amichevole fraternità con tutti. Tanto più che la miseria della maggior parte del mondo è così grande che il Cristo stesso, nella persona dei poveri reclama come a voce alta la carità dei suoi discepoli. Si eviti questo scandalo: mentre alcune nazioni, i cui abitanti per la maggior parte si dicono cristiani, godono d'una grande abbondanza di beni, altre nazioni sono prive del necessario e sono afflitte dalla fame, dalla malattia e da ogni sorta di miserie. Lo spirito di povertà e d'amore è infatti la gloria e il segno della Chiesa di Cristo.

Sono, pertanto, da lodare e da incoraggiare quei cristiani, specialmente i giovani, che spontaneamente si offrono a soccorrere gli altri uomini e le altre nazioni. Anzi spetta a tutto il popolo di Dio, dietro la parola e l'esempio dei suoi vescovi, sollevare, nella misura delle proprie forze, la miseria di questi tempi; e ciò, secondo l'antico uso della Chiesa, attingendo non solo dal superfluo, ma anche dal necessario.

Le collette e la distribuzione dei soccorsi materiali, senza essere organizzate in una maniera troppo rigida e uniforme, devono farsi secondo un piano diocesano, nazionale e mondiale; ovunque la cosa sembri opportuna, si farà in azione congiunta tra cattolici e altri fratelli cristiani. Infatti lo spirito di carità non si oppone per nulla all'esercizio provvido e ordinato dell'azione sociale e caritativa; anzi l'esige. È perciò necessario che quelli che vogliono impegnarsi al servizio delle nazioni in via di sviluppo ricevano una formazione adeguata in istituti specializzati.

89. Efficace presenza della Chiesa nella comunità internazionale

La Chiesa, in virtù della sua missione divina, predica il Vangelo e largisce i tesori della grazia a tutte le genti. Contribuisce così a rafforzare la pace in ogni parte del mondo, ponendo la conoscenza della legge divina e naturale a solido fondamento della solidarietà fraterna tra gli uomini e tra le nazioni. Perciò la Chiesa dev'essere assolutamente presente nella stessa comunità delle nazioni, per incoraggiare e stimolare gli uomini alla cooperazione vicendevole. E ciò, sia attraverso le sue istituzioni pubbliche, sia con la piena e leale collaborazione di tutti i cristiani animata dall'unico desiderio di servire a tutti.

Per raggiungere questo fine in modo più efficace, i fedeli stessi, coscienti della loro responsabilità umana e cristiana, dovranno sforzarsi di risvegliare la volontà di pronta collaborazione con la comunità internazionale, a cominciare dal proprio ambiente di vita. Si abbia una cura particolare di formare in ciò i giovani, sia nell'educazione religiosa che in quella civile.

90. La partecipazione dei cristiani alle istituzioni internazionali

Indubbiamente una forma eccellente d'impegno per i cristiani in campo internazionale è l'opera che si presta, individualmente o associati, all'interno degli istituti già esistenti o da costituirsi, con il fine di promuovere la collaborazione tra le nazioni. Inoltre, le varie associazioni cattoliche internazionali possono servire in tanti modi all'edificazione della comunità dei popoli nella pace e nella fratellanza. Perciò bisognerà rafforzarle, aumentando il numero di cooperatori ben formati, con i necessari sussidi e mediante un adeguato coordinamento delle forze. Ai nostri giorni, infatti, efficacia d'azione e necessità di dialogo esigono iniziative collettive. Per di più simili associazioni giovano non poco a istillare quel senso universale, che tanto conviene ai cattolici, e a formare la coscienza di una responsabilità e di una solidarietà veramente universali.

Infine è auspicabile che i cattolici si studino di cooperare, in maniera fattiva ed efficace, sia con i fratelli separati, i quali pure fanno professione di carità evangelica, sia con tutti gli uomini desiderosi della pace vera. Adempiranno così debitamente al loro dovere in seno alla comunità internazionale. Il Concilio, poi, dinanzi alle immense sventure che ancora affliggono la maggior parte del genere umano, ritiene assai opportuna la creazione d'un organismo della Chiesa universale, al fine di fomentare dovunque la giustizia e l'amore di Cristo verso i poveri. Tale organismo avrà per scopo di stimolare la comunità cattolica a promuovere lo sviluppo delle regioni bisognose e la giustizia sociale tra le nazioni.

CONCLUSIONE

91. Compiti dei singoli fedeli e delle Chiese particolari

Quanto viene proposto da questo santo Sinodo fa parte del tesoro dottrinale della Chiesa e intende aiutare tutti gli uomini del nostro tempo--sia quelli che credono in Dio, sia quelli che esplicitamente non lo riconoscono - affinché, percependo più chiaramente la pienezza della loro vocazione, rendano il mondo più conforme all'eminente dignità dell'uomo, aspirino a una fratellanza universale poggiata su fondamenti più profondi, e possano rispondere, sotto l'impulso dell'amore, con uno sforzo generoso e congiunto agli appelli più pressanti della nostra epoca.

Certo dinanzi alla immensa varietà delle situazioni e delle forme di civiltà, questa presentazione non ha volutamente, in numerosi punti, che un carattere del tutto generale; anzi, quantunque venga presentata una dottrina già comune nella Chiesa, siccome non raramente si tratta di realtà soggette a continua evoluzione, l'insegnamento presentato qui dovrà essere continuato ed ampliato.

Tuttavia confidiamo che le molte cose che abbiamo esposto, basandoci sulla parola di Dio e sullo spirito del Vangelo, possano portare un valido aiuto a tutti, soprattutto dopo che i cristiani, sotto la guida dei pastori, ne avranno portato a compimento l'adattamento ai singoli popoli e alle varie mentalità.

92. Il dialogo fra tutti gli uomini

La Chiesa, in forza della missione che ha di illuminare tutto il mondo con il messaggio evangelico e di radunare in un solo Spirito tutti gli uomini di qualunque nazione, razza e civiltà, diventa segno di quella fraternità che permette e rafforza un sincero dialogo.

Ciò esige che innanzitutto nella stessa Chiesa promuoviamo la mutua stima, il rispetto e la concordia, riconoscendo ogni legittima diversità, per stabilire un dialogo sempre più fecondo fra tutti coloro che formano l'unico popolo di Dio, che si tratti dei pastori o degli altri fedeli cristiani. Sono più forti infatti le cose che uniscono i fedeli che quelle che li dividono; ci sia unità nelle cose necessarie, libertà nelle cose dubbie e in tutto carità (171).

Il nostro pensiero si rivolge contemporaneamente ai fratelli e alle loro comunità, che non vivono ancora in piena comunione con noi, ma ai quali siamo uniti nella confessione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e dal vincolo della carità, memori che l'unità dei cristiani è oggi attesa e desiderata anche da molti che non credono in Cristo.

Quanto più, in effetti, questa unità crescerà nella verità e nell'amore, sotto la potente azione dello Spirito Santo, tanto più essa diverrà per il mondo intero un presagio di unità e di pace. Perciò, unendo le nostre energie ed utilizzando forme e metodi sempre più adeguati al conseguimento efficace di così alto fine, nel momento presente, cerchiamo di cooperare fraternamente, in una conformità al Vangelo ogni giorno maggiore, al servizio della famiglia umana che è chiamata a diventare in Cristo Gesù la famiglia dei figli di Dio.

Rivolgiamo anche il nostro pensiero a tutti coloro che credono in Dio e che conservano nelle loro tradizioni preziosi elementi religiosi ed umani, augurandoci che un dialogo fiducioso possa condurre tutti noi ad accettare con fedeltà gli impulsi dello Spirito e a portarli a compimento con alacrità.

Per quanto ci riguarda, il desiderio di stabilire un dialogo che sia ispirato dal solo amore della verità e condotto con la opportuna prudenza, non esclude nessuno: né coloro che hanno il culto di alti valori umani, benché non ne riconoscano ancora l'autore, né coloro che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in diverse maniere.

Essendo Dio Padre principio e fine di tutti, siamo tutti chiamati ad essere fratelli. E perciò, chiamati a una sola e identica vocazione umana e divina, senza violenza e senza inganno, possiamo e dobbiamo lavorare insieme alla costruzione del mondo nella vera pace.

93. Un mondo da costruire e da condurre al suo fine

I cristiani, ricordando le parole del Signore: «in questo conosceranno tutti che siete i miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri» (Gv 13,35), niente possono desiderare più ardentemente che servire con maggiore generosità ed efficacia gli uomini del mondo contemporaneo. Perciò, aderendo fedelmente al Vangelo e beneficiando della sua forza, uniti con tutti coloro che amano e praticano la giustizia, hanno assunto un compito immenso da adempiere su questa terra: di esso dovranno rendere conto a colui che tutti giudicherà nell'ultimo giorno.

Non tutti infatti quelli che dicono: « Signore, Signore », entreranno nel regno dei cieli, ma quelli che fanno la volontà del Padre e coraggiosamente agiscono (172). Perché la volontà del Padre è che in tutti gli uomini noi riconosciamo ed efficacemente amiamo Cristo fratello, con la parola e con l'azione, rendendo così testimonianza alla verità, e comunichiamo agli altri il mistero dell'amore del Padre celeste.

Così facendo, risveglieremo in tutti gli uomini della terra una viva speranza, dono dello Spirito Santo, affinché alla fine essi vengano ammessi nella pace e felicità somma, nella patria che risplende della gloria del Signore. « A colui che, mediante la potenza che opera in noi, può compiere infinitamente di più di tutto ciò che noi possiamo domandare o pensare, a lui sia la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù, per tutte le generazioni nei secoli dei secoli. Amen» (Ef 3,20-21).

 

Tutte e singole le cose stabilite in questo Decreto sono piaciute ai Padri del Sacro Concilio. E Noi, in virtù della potestà Apostolica conferitaci da Cristo, unitamente ai Venerabili Padri, nello Spirito Santo le approviamo, le decretiamo e le stabiliamo; e quanto stato così sinodalmente deciso comandiamo che sia promulgato a gloria di Dio.

Roma, presso San Pietro

7 dicembre 1965.

Io PAOLO Vescovo della Chiesa Cattolica

Seguono le firme dei Padri.

SOSPENSIONE DELLA LEGGE PER I DECRETI PROMULGATI NELLA SESSIONE IX

Il Beatissimo Padre ha stabilito la dilazione, quanto alle nuove leggi che sono contenute nei decreti ora promulgati, fino al 29 giugno 1966, cio fino alla festa dei Ss. Apostoli Pietro e Paolo dell’anno prossimo.

Nel frattempo il Sommo Pontefice emaner le norme per l’applicazione di dette leggi.

† Pericle Felici

Arcivescovo tit. di Samosata

Segretario Generale del Ss. Concilio


Firme dei Padri

Ego PAULUS Catholicae Ecclesiae Episcopus

† Ego EUGENIUS Episcopus Ostiensis ac Portuensis et S. Rufinae Cardinalis TISSERANT, Sacri Collegii Decanus.

† Ego IOSEPHUS Episcopus Albanensis Cardinalis PIZZARDO.

† Ego BENEDICTUS Episcopus Praenestinus Cardinalis ALOISI MASELLA.

† Ego FERDINANDUS Episcopus tit. Veliternus Cardinalis CENTO.

† Ego HAMLETUS IOANNES Episcopus tit. Tusculanus Cardinalis CICOGNANI.

† Ego IOSEPHUS Episcopus tit. Sabinensis et Mandelensis Cardinalis FERRETTO.

† Ego IGNATIUS GABRIEL Cardinalis TAPPOUNI, Patriarcha Antiochenus Syrorum.

† Ego MAXIMUS IV Cardinalis SAIGH, Patriarcha Antiochenus Melkitarum.

† Ego PAULUS PETRUS Cardinalis MEOUCHI, Patriarcha Antiochenus Maronitarum.

† Ego STEPHANUS I Cardinalis SIDAROUSS, Patriarcha Alexandrinus Coptorum.

† Ego EMMANUEL TIT. Ss. Marcellini et Petri Presbyter Cardinalis GONÇALVES CEREJEIRA, Patriarcha Lisbonensis.

† Ego ACHILLES titulo S. Sixti Presbyter Cardinalis LIÉNART, Episcopus Insulensis.

Ego IACOBUS ALOISIUS titulo S. Laurentii in Damaso Presbyter Cardinalis COPELLO, S. R. E. Cancellarius.

Ego GREGORIUS PETRUS titulo S. Bartholomaei in Insula Presbyter Cardinalis AGAGIANIAN.

† Ego VALERIANUS titulo S. Mariae in Via Lata Presbyter Cardinalis GRACIAS, Archiepiscopus Bombayensis.

† Ego IOANNES titulo S. Marci Presbyter Cardinalis URBANI, Patriarcha Venetiarum.

Ego PAULUS titulo S. Mariae in Vallicella Presbyter Cardinalis GIOBBE, S. R. E. Datarius.

† Ego IOSEPHUS titulo S. Honuphrii in Ianiculo Presbyter Cardinalis GARIBI Y RIVERA, Archiepiscopus Guadalajarensis.

Ego CAROLUS titulo S. Agnetis extra moenia Presbyter Cardinalis CONFALONIERI.

† Ego PAULUS titulo Ss. Quirici et Iulittae Presbyter Cardinalis RICHAUD, Archiepiscopus Burdigalensis.

† Ego IOSEPHUS M. titulo Ss. Viti, Modesti et Crescentiae Presbyter Cardinalis BUENO Y MONREAL, Archiepiscopus Hispalensis.

† Ego FRANCISCUS titulo S. Eusebii Presbyter Cardinalis KÖNIG, Archiepiscopus Vindobonensis.

† Ego IULIUS titulo S. Mariae Scalaris Presbyter Cardinalis DÖPFNER, Archiepiscopus Monacensis et Frisingensis.

Ego PAULUS titulo S. Andreae Apostoli de Hortis Presbyter Cardinalis MARELLA.

Ego GUSTAVUS titulo S. Hieronymi Illyricorum Presbyter Cardinalis TESTA.

Ego ALOISIUS titulo S. Andreae de Valle Presbyter Cardinalis TRAGLIA.

† Ego PETRUS TATSUO titulo S. Antonii Patavini de Urbe Presbyter Cardinalis DOI, Archiepiscopus Tokiensis.

† Ego IOSEPHUS titulo S. Ioannis Baptistae Florentinorum Presbyter Cardinalis LEFEBVRE, Archiepiscopus Bituricensis.

† Ego BERNARDUS titulo S. Ioachimi Presbyter Cardinalis ALFRINK, Archiepiscopus Ultraiectensis.

† Ego RUFINUS I. titulo S. Mariae ad Montes Presbyter Cardinalis SANTOS, Archiepiscopus Manilensis.

† Ego LAUREANUS titulo S. Francisci Assisiensis ad Ripam Maiorem Presbyter Cardinalis RUGAMBWA, Episcopus Bukobaënsis.

† Ego IOSEPHUS titulo Ssmi Redemptoris et S. Alfonsi in Exquiliis Presbyter Cardinalis RITTER, Archiepiscopus S. Ludovici.

† Ego IOANNES titulo S. Silvestri in Capite Presbyter Cardinalis HEENAN, Archiepiscopus Vestmonasteriensis, Primas Angliae.

† Ego IOANNES titulo Ssmae Trinitatis in Monte Pincio Presbyter Cardinalis VILLOT, Archiepiscopus Lugdunensis et Viennensis, Primas Galliae.

† Ego PAULUS titulo S. Camilli de Lellis ad Hortos Sallustianos Presbyter Cardinalis ZOUNGRANA, Archiepiscopus Uagaduguensis.

† Ego HENRICUS titulo S. Agathae in Urbe Presbyter Cardinalis DANTE.

Ego CAESAR titulo D.nae N.ae a Sacro Corde in Circo Agonali Presbyter Cardinalis ZERBA.

† Ego AGNELLUS titulo Praecelsae Dei Matris Presbyter Cardinalis ROSSI, Archiepiscopus S. Pauli in Brasilia.

† Ego IOANNES titulo S. Martini in Montibus Presbyter Cardinalis COLOMBO, Archiepiscopus Mediolanensis.

† Ego GUILLELMUS titulo S. Patricii ad Villam Ludovisi Presbyter Cardinalis CONWAY, Archiepiscopus Armachanus, totius Hiberniae Primas.

† Ego ANGELUS titulo Sacri Cordis Beatae Mariae Virginis ad forum Euclidis Presbyter Cardinalis HERRERA, Episcopus Malacitanus.

Ego ALAPHRIDUS S. Mariae in Domnica Protodiaconus Cardinalis OTTAVIANI.

Ego ALBERTUS S. Pudentianae Diaconus Cardinalis DI JORIO.

Ego FRANCISCUS S. Mariae in Cosmedin Diaconus Cardinalis ROBERTI.

Ego ARCADIUS SS. Blasii et Caroli ad Catinarios Diaconus Cardinalis LARRAONA.

Ego FRANCISCUS SS. Cosmae et Damiani Diaconus Cardinalis MORANO.

Ego GUILLELMUS THEODORUS S. Theodori in Palatio Cardinalis HEARD.

Ego AUGUSTINUS S. Sabae Diaconus Cardinalis BEA.

Ego ANTONIUS S. Eugenii Diaconus Cardinalis BACCI.

Ego FRATER MICHAEL S. Pauli in Arenula Diaconus Cardinalis BROWNE.

Ego FRIDERICUS S. Ioannis Bosco in via Tusculana Diaconus Cardinalis Callori DI VIGNALE

 


NOTE

(1) La Costituzione Pastorale "Sulla Chiesa nel mondo contemporaneo" consta di due parti, ma un tutto unitario. La Costituzione detta "Pastorale" perché, basata sui principi dottrinali, intende esporre l’atteggiamento della Chiesa verso il mondo e gli uomini d’oggi. Non manca dunque né l’intento pastorale nella prima parte, né l’intento dottrinale nella seconda. Nella prima parte la Chiesa sviluppa la sua dottrina sull’uomo, sul mondo nel quale l’uomo inserito e sul suo rapporto con queste realtà . Nella seconda considera pi da vicino i diversi aspetti della vita odierna e della società umana, e precisamente in particolare le questioni e i problemi che ai nostri tempi sembrano pi urgenti in questo campo. Per cui in questa seconda parte la materia, soggetta ai principi dottrinali, consta di elementi non solo immutabili, ma anche contingenti. Perciò la Costituzione dev’essere interpretata secondo le norme generali dell’interpretazione teologica, e ciò tenendo conto, soprattutto nella sua seconda parte, delle mutevoli circostanze con le quali sono connessi, per loro natura, gli argomenti di cui si tratta.

(2) Cf. Gv 18,37.

(3) Cf. Gv 3,17; Mt 20,28; Mc 10,45.

(4) Cf. Rm 7,14ss.

(5) Cf. 2 Cor 5,15.

(6) Cf. At  4,12.

(7) Cf. Eb 13,8.

(8) Cf. Col 1,15.

(9) Cf. Gen 1,26; Sap 2,23.

(10) Cf. Sir 17,3-10.

(11) Cf. Rm 1,21-25.

(12) Cf. Gv 8,34.

(13) Cf. Dn 3,57-90.

(14) Cf. 1 Cor 6,13-20.

(15) Cf. 1 Sam 16,7; Ger 17,10.

(16) Cf. Sir 17,7-8.

(17) Cf. Rm 2,14-16.

(18) Cf. PIO XII, Messaggio radiofonico sulla retta formazione della coscienza cristiana nei giovani, La famiglia è la culla, 23 marzo 1952: AAS 44 (1952), p. 271.

(19) Cf. Mt 22,37-40; Gal 5,14.

(20) Cf. Sir 15,14.

(21) Cf. 2 Cor 5,10.

(22) Cf. Sap 1,13; 2,23-24; Rm 5,21; 6,23; Gc 1,15.

(23) Cf. 1 Cor 15,56-57.

(24) Cf. PIO XI, Encicl. Divini Redemptoris, 19 marzo 1937: AAS 29 (1937), pp. 65-106 [in parte Dz 3771-74]; PIO XII, Encicl. Ad Apostolorum Principis, 29 giugno 1958: AAS 50 (1958), pp. 601-614; GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra, 15 maggio 1961: AAS 53 (1961), pp. 451-453; PAOLO VI, Encicl. Ecclesiam Suam, 6 ag. 1964: AAS 56 (1964), pp. 651-653.

(25) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. I, n. 8: AAS 57 (1965), p. 12 [pag. 129ss].

(26) Cf. Fil 1,27.

(27) S. AGOSTINO, Confess., I,1: PL 32, 661.

(28) Cf. Rm 5,14. Cf. TERTULLIANO, De carnis resurr., 6: "Tutto quello che il fango significava, si riferiva a Cristo, l’uomo futuro": PL 2, 802 (848); CSEL 47, p. 33, l. 12-13.

(29) Cf. 2 Cor 4,4.

(30) Cf. CONCILIO DI COSTANTINOP. II, can. 7: "Né il Verbo Dio passato nella natura della carne, né la carne si trasformata nella natura del Verbo": Dz 219 (428) [Collantes 4.026]. - Cf. anche CONC. DI COSTANTINOP. III: "Come la santissima, immacolata, animata sua carne deificata non fu distrutta ( theótheisa ouk anèrethè), ma rimase nel suo proprio stato e modo d’essere": Dz 291 (556) [Collantes 4.071]. - Cf. CONC. DI CALCED.: "Dev’essere riconosciuto inconfusamente, immutabilmente, senza divisione, inseparabilmente in due nature": Dz 148 (302) [Collantes 4.012].

(31) Cf. CONC. DI COSTANTINOP. III: "Così non stata distrutta la sua volontà umana": Dz 291 (556) [Collantes 4.071].

(32) Cf. Eb 4,15.

(33) Cf. 2 Cor 5,18-19; Col 1,20-22.

(34) Cf. 1 Pt 2,21; Mt 16,24; Lc 14,27.

(35) Cf. Rm 8,29; Col 1,18.

(36) Cf. Rm 8,1-11.

(37) Cf. 2 Cor 4,14.

(38) Cf. Fil 3,10; Rm 8,17.

(39) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. II, n. 16: AAS 57 (1965), p. 20 [pag. 151ss].

(40) Cf. Rm 8,32.

(41) Cf. Liturgia Paschalis Bizantina.

(42) Cf. Rm 8,15; Gal 4,6; Gv 1,12 e 1 Gv 3,1-2.

(43) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra, 15 maggio 1961: AAS 53 (1961), pp. 401-464 [in parte Dz 3931-53], e Encicl. Pacem in terris, 11 apr. 1963: AAS 55 (1963), pp. 257-304 [in parte Dz 3955-97]; PAOLO VI, Encicl. Ecclesiam Suam, 6 ag. 1964: AAS 56 (1964), pp. 609-659.

(44) Cf. Lc 17,33.

(45) Cf. S. TOMMASO, I Ethic., Lez. 1.

(46) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra: AAS 53 (1961), pp. 418; PIO XI, Encicl. Quadragesimo anno, 15 maggio 1931: AAS 23 (1931), p. 222ss.

(47) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra: AAS 53 (1961), p. 417.

(48) Cf. Mc 2,27.

(49) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris: AAS 55 (1963), p. 266.

(50) Cf. Gc 2,15-16.

(51) Cf. Lc 16,19-31.

(52) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris: AAS 55 (1963), pp. 299-300 [in parte Dz 3996-97].

(53) Cf. Lc 6,37-38; Mt 7,1-2; Rm 2,1-11; 14,10-12.

(54) Cf. Mt 5,45-47.

(55) CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, Cap. II, n. 9: AAS 57 (1965), pp. 12-13 [pag. 133ss.

(56) Cf. Es 24,1-8.

(57) Cf. Gen 1,26-27; 9,2-3; Sap 9,2-3.

(58) Cf. Sal 8,7 e 10.

(59) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris: AAS 55 (1963), p. 297.

(60) Cf. Messaggio a tutti gli uomini indirizzato dai Padri all’inizio del Concilio Vaticano II, 20 ott. 1962: AAS 54 (1962), pp. 822-823 [pag. 1113ss].

(61) Cf. PAOLO VI, Disc. al Corpo diplomatico, 7 genn. 1965: AAS 57 (1965), p. 232.

(62) Cf. CONC. VAT. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. III. Dz 1785-86 (3004-05) [Collantes 1.061-63].

(63) Cf. PIO PASCHINI, Vita e opere di Galileo Galilei, 2 vol., Pont. Accademia delle Scienze, Città del Vatic. 1964.

(64) Cf. Mt 24,13; 13,24-30 e 36-43.

(65) Cf. 2 Cor 6,10.

(66) Cf. Gv 1,3 e 14.

(67) Cf. Ef 1,10.

(68) Cf. Gv 3,14-16; Rm 5,8-10.

(69) Cf. At 2,36; Mt 28,18.

(70) Cf. Rm 15,16.

(71) Cf. At 1,7.

(72) Cf. 1 Cor 7,31; S. IRENEO, Adversus Haereses, V, 36, 1: PG 7, 1222.

(73) Cf. 2 Cor 5,2; 2 Pt 3,13.

(74) Cf. 1 Cor 2,9; Ap 21,4-5.

(75) Cf. 1 Cor 15,42 e 53.

(76) Cf. 1 Cor 13,8; 3,14.

(77) Cf. Rm 8,19-21.

(78) Cf. Lc 9,25.

(79) Cf. PIO XI, Encicl. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931), p. 207.

(80) Messale romano, prefazio della festa di Cristo Re.

(81) Cf. PAOLO VI, Encicl. Ecclesiam suam, III: AAS 56 (1964), pp. 637-659.

(82) Cf. Tt 3,4: «philanthropia».

(83) Cf. Ef 1,3.5-6.13-14.23.

(84) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. I, n. 8: AAS 57 (1965), p. 12 [pag. 129ss].

(85) CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. II, n. 9: AAS 57 (1965), p. 14 [pag. 133ss]; cf. n. 8: AAS, l.c., p. 11 [pag. 129ss].

(86) CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. I, n. 8: AAS 57 (1965), p. 11 [pag. 129ss].

(87) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. IV, n. 38: AAS 57 (1965), p. 43 [pag. 209ss] con la nota 120.

(88) Cf. Rm 8,14-17.

(89) Cf. Mt 22,39.

(90) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. II, n. 9: AAS 57 (1965), pp. 12-14 [pag. 133ss].

(91) Cf. PIO XII, Discorso a cultori di storia e di arte, 9 marzo 1956: AAS 48 (1956), p. 212: “Il suo Divino Fondatore, Gesù Cristo, non le ha conferito nessun mandato né fissato alcun fine d’ordine culturale. Lo scopo che il Cristo le assegna è strettamente religioso (...). La Chiesa deve condurre gli uomini a Dio, perché si donino a lui senza riserva (...). La Chiesa non può perdere mai di vista questo fine strettamente religioso, soprannaturale. Il senso di ogni sua attività, fino all’ultimo canone del suo Codice, non può che riferirsi ad esso direttamente o indirettamente”.

(92) CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. I, n. 1: AAS 57 (1965), p. 5 [pag. 115].

(93) Cf. Eb 13,14.

(94) Cf. 2 Ts 3,6-13; Ef  4,28.

(95) Cf. Is 58,1-12.

(96) Cf. Mt 23,3-33; Mc 7,10-13.

(97) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra, IV: AAS 53 (1961), pp. 456-457 e I: l.c., pp. 407, 410-411.

(98) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. III, n. 28: AAS 57 (1965), pp. 34-35 [pag. 185ss].

(99) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. III, n. 28: AAS, l.c., pp. 35-36 [pag. 185ss].

(100) Cf. S. AMBROGIO, De virginitate, cap. VIII, n. 48: PL 16, 278.

(101) CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. II, n. 15: AAS 57 (1965), p. 20 [pag. 149ss].

(102) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. II, n. 13: AAS 57 (1965), p. 17 [pag. 143ss].

(103) Cf. GIUSTINO, Dialogus cum Triphone, cap. 110: PG 6, 729; ed. Otto, 1897, pp. 391-393: “...ma quanto più ci vengono inflitte queste pene, tanto più altri diventano fedeli e pii per il nome di Gesù”. Cf. TERTULLIANO, Apologeticus, cap. L, 13: PL 1, 534; Corpus Christ., ser. lat. I, p. 171: “Diventiamo anzi sempre di più ogni volta che siamo mietuti da voi: il sangue dei Cristiani è seme!”). Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. II, n. 9: AAS 57 (1965), p. 14 [pag. 133ss].

(104) CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. VII, n. 48: AAS 57 (1965), p. 53 [pag. 233ss].

(105) CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. VII, n. 48: AAS 57 (1965), p. 53 [pag. 233ss].

(106) Cf. PAOLO VI, Discorso pronunciato il 3 feb. 1965: L’Osservatore Romano, 4 febr. 1965.

(107) Cf. S. AGOSTINO, De bono coniugali: PL 40, 375-376 e 394; S. TOMMASO, Summa Theol., Suppl. Quaest. 49, art. 3 ad 1; Decretum pro Armenis: Dz 702 (1327) [Collantes 9.343]; PIO XI, Encicl. Casti Connubii: AAS 22 (1930), pp. 543-555; Dz 2227-28 (3703-14) [in parte anche Collantes 9.381-86].

(108) Cf. PIO XI, Encicl. Casti Connubii AAS 22 (1930), pp. 546-547; Dz 2231 (3706) [Collantes 9.383].

(109) Cf. Os 2; Ger 3,6-13; Ez 16 e 23; Is 54.

(110) Cf. Mt 9,15; Mc 2,19-20; Lc 5,34-35; Gv 3,29; 2 Cor 11,2; Ef 5,27; Ap 19,7-8; 21,2 e 9.

(111) Cf. Ef 5,25.

(112) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium: AAS 57 (1965), pp. 15-16; 40-41; 47.

(113) Cf. PIO XI, Encicl. Casti Connubii: AAS 22 (1930), p. 583.

(114) Cf.1 Tm 5,3.

(115) Cf. Ef 5,32.

(116) Cf. Gen 2,22-24; Pr 5,18-20; 31,10-31; Tb 8,4-8; Ct 1,1-3; 2,16; 4,16-5,1; 7,8-11; 1 Cor 7,3-6; Ef 5,25-33.

(117) Cf. PIO XI, Encicl. Casti Connubii: AAS 22 (1930), pp. 547-548; Dz 2232 (3707).

(118) Cf. 1 Cor 7,5.

(119) Cf. PIO XII, Discorso Tra le visite, 20 gen. 1958: AAS 50 (1958), p. 91.

(120) Cf. PIO XI, Encicl. Casti Connubii: AAS 22 (1930), pp. 559-561; Dz 3716-18 [in parte]; PIO XII, Discorso al Convegno dell’Unione Italiana Ostetriche 29 ott. 1951: AAS 43 (1951), pp. 835-854; PAOLO VI, Discorso agli Em.mi Padri Cardinali, 23 giugno 1964: AAS 56 (1964) pp. 581-589. Alcuni problemi, che hanno bisogno di analisi ulteriori e più approfondite, per ordine del Sommo Pontefice sono stati demandati alla Commissione per lo studio della popolazione, della famiglia e della natalità, perché il Sommo Pontefice dia il suo giudizio dopo che essa avrà concluso il suo compito. Stando a questo punto la dottrina del Magistero, il S. Concilio non intende proporre immediatamente soluzioni concrete.

(121) Cf. Ef 5,16; Col 4,5.

(122) Cf. Sacramentarium Gregorianum: PL 78, 262.

(123) Cf. Rm 5,15 e 18; 6,5-11; Gal 2,20.

(124) Cf. Ef 5,25-27.

(125) Cf. Esposizione introduttiva di questa Costituzione, nn. 4-10 [pag. 849-863].

(126) Cf. Col 3,1-2.

(127) Cf. Gen 1,28.

(128) Cf. Pr 8,30-31.

(129) Cf. S. IRENEO, Adv. Haer., III, 11, 8: ed. Sagnard, p. 200; cf. Ib., 16, 6: pp. 290-292; 21, 10-22: pp. 370-372; 22, 3: p. 378; ecc.

(130) Cf. Ef 1,10.

(131) Cf. le parole di PIO XI all’Ecc.mo Sig. Roland-Gosselin: “Non bisogna perdere mai di vista che l’obiettivo della Chiesa è di evangelizzare e non di civilizzare. Se essa civilizza, è per l’evangelizzazione” (Semaine Sociale de Versailles, 1936, pp. 461-462).

(132) Cf. CONC. VAT. I, Cost. dogm. sulla fede catt. Dei Filius, cap. IV: Dz 1795, 1799 (3015, 3019) [Collantes 1.080-84]. Cf. PIO XI, Encicl. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931), p. 190 [in parte Dz 3725).

(133) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris: AAS 55 (1963), p. 260 [Dz 3959].

(134) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris: AAS 55 (1963), pp. 283 [Dz 3989]; PIO XII, Messaggio radiofon Nell'alba e nella luce., 24 dic. 1941: AAS 34 (1942), pp. 16-17.

(135) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris: AAS 55 (1963), pp. 260 [Dz 3960].

(136) Cf. GIOVANNI XXIII, Discorso tenuto all’inizio del Concilio l’11 ott. 1962: AAS 54 (1962), p. 792 [pag. 1103].

(137) Cf. CONC. VAT. II, Cost. sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 123: AAS 56 (1964), p. 131 [pag. 81ss]; PAOLO VI, Discorso agli artisti romani, 7 maggio 1964: AAS 56 (1964), pp. 439-442.

(138) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sulla formazione sacerdotale Optatam totius: e Dich. sull’educazione cristiana Gravissimum educationis.

(139) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. IV, n. 37: AAS 57 (1965), pp. 42-43 [pag. 207ss].

(140) Cf. PIO XII, Messaggio La famiglia è la culla, 23 marzo 1952: AAS 44 (1952), p. 273; GIOVANNI XXIII, Discorso alle A.C.L.I., 1° maggio 1959: AAS 51 (1959), p. 358.

(141) Cf. PIO XI, Encicl. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931), p. 190ss [in parte Dz 3725ss]; PIO XII, Messaggio La famiglia è la culla, 23 marzo 1952: AAS 44 (1952), p. 276ss; GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra: AAS 53 (1961), p. 450; CONC. VAT. II, Decreto sugli strum. di comunic. sociale Inter mirifica, cap. I, n. 6: AAS 56 (1964), p. 147 [pag. 99].

(142) Cf. Mt 16,26; Lc 16,1-31; Col 3,17.

(143) Cf. LEONE XIII, Encicl. Libertas praestantissimum, 20 giugno 1888: ASS 20 (1887-1888), pp. 597ss [in parte Dz 3252-53); PIO XI, Encicl. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931), p. 191ss.; ID., Divini Redemptoris: AAS 29 (1937), p. 65ss; PIO XII, Messaggio natalizio Nell'alba e nella luce 1941: AAS 34 (1942), p 10ss; GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra: AAS 53 (1961), pp. 401-464 [in parte Dz 3935-53].

(144) Quanto al problema dell’agricoltura, cf. soprattutto GIOVANNI XXIII, Encicl Mater et Magistra: AAS 53 (1961), pp. 431ss.

(145) Cf. LEONE XIII, Encicl. Rerum Novarum: ASS 23 (1890-91), pp. 649-662 [in parte Dz 3268ss]; PIO XI, Encicl. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931), p. 200-201; ID, Encicl. Divini Redemptoris: AAS 29 (1937), p. 92 [Dz 3774]; PIO XII, Messaggio radiofonico nella vigilia del Natale del Signore 1942:Con sempre nuova freschezza  AAS 35 (1943), p. 20; ID., Discorso 13 giugno 1943: AAS 35 (1943), p. 172; ID., Messaggio radiofonico diretto agli operai di Spagna, 11 marzo 1951: AAS 43 (1951), p. 215; GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra: AAS 53 (1961), p. 419 [Dz 3944].

(146) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra: AAS 53 (1961), pp. 408, 424 [Dz 3948], 427; il termine “curatione” [=conduzione] è desunto dal testo latino dell’Encicl. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931), p. 199 [Dz 3733]. Riguardo all’evoluzione del problema cf. anche: PIO XII, Discorso 3 giugno 1950: AAS 42 (1950), pp. 485-488; PAOLO VI, Discorso, 8 giugno 1964: AAS 56 (1964), pp. 574-579.

(147) Cf. PIO XII, Encicl. Sertum laetitiae: AAS 31 (1939), p. 642; GIOVANNI XXIII, Discorso concistoriale: AAS 52 (1960), pp. 5-11; ID., Encicl. Mater et Magistra: AAS 53 (1961), p. 411.

(148) Cf. S. TOMMASO, Summa Theol., II-II, q. 32, a. 5 ad 2; Ibid. q. 66, a. 2; cf. la spiegazione in LEONE XIII, Encicl. Rerum Novarum: ASS 23 (1890-1891), p. 651 [Dz 3267]; cf. anche PIO XII, Discorso 1° giugno 1941: AAS 23 (1941), p. 199; ID., Messaggio radiofonico natalizio Ecce ego declinabo 1954: AAS 47 (1955), p. 27.

(149) Cf. S. BASILIO, Hom. in illud Lucae: Destruam horrea mea, n. 2: PG 31, 263; LATTANZIO, Divinarum Institutionum, lib. V, sulla giustizia: PL 6: 565B; S. AGOSTINO, In Ioann. Ev., tr. 50, n. 6: PL 35, 1760; ID., Enarratio in Ps. CXLVII, 12: PL 37, 1922; S. GREGORIO M., Homiliae in Ev., om. 20, 12: PL 76, 1165; ID., Regulae Pastoralis liber, pars III, c. 21: PL 77, 87; S. BONAVENTURA, In III Sent., d. 33, dub. 1: ed. Quaracchi III, 728; ID., In IV Sent., d. 15, p. II, a. 2, q. 1: ibid., IV, 371b; Quaest. de superfluo: ms. Assisi, Bibl. comun. 186, ff. 112a-113a; S. ALBERTO M., In III Sent, d. 33, a. 3, sol. I: Ed. Borgnet XXVIII, 611; ID., In IV Sent., d. 15, a. 16: ibid., XXIX, 494-497. Quanto alla determinazione del superfluo ai nostri tempi, cf. GIOVANNI XXIII, Messaggio radiotelevisivo 11 sett. 1962: AAS 54 (1962), p. 682: “Dovere di ogni uomo, dovere impellente del cristiano è di considerare il superfluo con la misura delle necessità altrui, e di ben vigilare perché l’amministrazione e la distribuzione dei beni creati venga posta a vantaggio di tutti”.

(150) Vale in tal caso l’antico principio: “In estrema necessità tutto è in comune, cioè da comunicare”. D’altra parte, per il criterio, l’estensione e il modo con cui si applica il principio proposto nel testo, oltre ai sicuri autori moderni, cf. S. TOMMASO, Summa Theol., II-II, q. 66, a. 7. Com’è evidente, per una corretta applicazione del principio, si devono osservare tutte le condizioni moralmente richieste.

(151) Cf. Gratiani Decretum, c. 21, dist. LXXXVI: ed. Friedberg, I, 302. Questo detto si trova già in PL 54, 491A e in PL 56, 1132B. Cf. in Antonianum 27 (1952), pp. 349-366.

(152) Cf. LEONE XII, Encicl. Rerum Novarum: ASS 23 (1890-91), pp. 643-646 [in parte Dz 3265-67]; PIO XI, Encicl. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931), p. 191; PIO XII, Messaggio radiofonico 1° giugno 1941: AAS 33 (1941), p. 199; ID., Messaggio radiofonico nella vigilia del Natale del Signore 1942 Con sempre nuova freschezza: AAS 35 (1943), p. 17; ID., Messaggio radiofonico, 1° set. 1944 Oggi al compiersi: AAS 36 (1944), p. 253; GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra: AAS 53 (1961), pp. 428-429.

(153) Cf. PIO XI, Encicl. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931), p. 214; GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra: AAS 53 (1961), p. 429.

(154) Cf. PIO XII, Messaggio radiofonico per la Pent. 1941: AAS 33 (1941), p. 199; GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra: AAS 53 (1961), p. 430 [Dz 3952].

(155) Per il giusto uso dei beni secondo la dottrina del Nuovo Testamento cf. Lc 3,11; 10,30ss; 11,41; 1 Pt 5,3; Mc 8,36; 12,29-31; Gc 5,1-6; 1Tm 6,8; Ef 4,28; 2 Cor 8,13ss; 1 Gv 3,17-18.

(156) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra: AAS 53 (1961), p. 417.

(157) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra: AAS 53 (1961), p. 417.

(158) Cf. Rm 13,1-5.

(159) Cf. Rm 13,5.

(160) Cf. PIO XII, Messaggio radiof., 24 dic. 1942 Con sempre nuova freschezza: AAS 35 (1943), pp. 9-24; 24 dic. 1944: AAS 37 (1945), pp. 11-17; GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris: AAS 55 (1963), pp. 263 [Dz 3968], 271, 277-278.

(161) Cf. PIO XII, Messaggio radiof., 1° giu. 1941: AAS 33 (1941), p. 200; GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, l. c., pp. 273-274 [in parte Dz 3984-85].

(162) Cf. GIOVANNI XXIII, Lett. Encicl. Mater et Magistra: AAS 53 (1961), pp. 415-418.

(163) Cf. PIO XI, Discorso Ai dirigenti della Federazione Universitaria cattolica: Discorsi di Pio XI: ed. Bertetto, Torino, vol. I, 1960, p. 743.

(164) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 13: AAS 57 (1965), p. 17 [pag. 143ss].

(165) Cf. Lc 2,14.

(166) Cf. Ef 2,16; Col 1,20-22.

(167) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 apr. 1963: AAS 55 (1963), pp. 291: “Perciò in questa nostra età, che si vanta della forza atomica, è contrario alla ragione essere sempre predisposti alla guerra per ricuperare i diritti violati”.

(168) Cf. PIO XII, Discorso 30 set. 1954: AAS 46 (1954), p. 589; ID., Messaggio radiofonico, 24 dic. 1954 Ecce ego declinabo: AAS 47 (1955), pp. 15ss; GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris: AAS 55 (1963), pp. 286-291 [in parte Dz 3991]; PAOLO VI, Discorso all’Assemblea delle Nazioni Unite, 4 ott. 1965: AAS 57 (1965), pp. 877-885.

(169) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, dove si parla di disarmo: AAS 55 (1963), p. 287 [Dz 3991].

(170) Cf. 2 Cor 6,2.

(171) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Ad Petri Cathedram, 29 giugno 1959: AAS 51 (1959), p. 513.

(172) Cf. Mt 7,21.

 

Fonti: Vaticano

 

" Non Nobis Domine, Non Nobis, Sed Nomini Tuo Da Gloriam "